“Per anni l’erede di una grande fortuna fu costretta a vivere immobilizzata nel suo letto dalla malattia, finché un incontro inatteso non portò alla luce un oscuro intrigo che nessuno avrebbe mai immaginato.”

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«Alina… sei davvero tu?» Una voce maschile risuonò alle sue spalle.

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Lei trasalì e si voltò lentamente. Davanti a lei c’era Andrei, il suo primo amore, lo stesso ragazzo per il quale il patrigno aveva quasi tentato di rovinarle la vita. Alina lanciò un’occhiata impaurita al marito, che in quel momento stava parlando con il medico.

«Che gioia rivederti», disse Andrei avvicinandosi con un sorriso. «Sembri un po’ stanca… ma d’altronde siamo in ospedale.»

Alina non voleva parlare della sua malattia, quella che la logorava ormai da anni. Andrei, invece, sembrava immutato: il tempo non gli aveva tolto nulla.

«Andrei, sei un medico?» chiese lei con voce esitante.

«Non proprio. Sono il primario di questo ospedale», rispose con orgoglio. «Vorrei sedermi e chiacchierare un po’. Quanti anni sono passati? Dieci, quindici? Raccontami, come va la vita?»

«Abbastanza bene. Solo qualche problema di salute», mormorò Alina con un sorriso appena accennato.

«Allora lascia che ti aiuti. Posso organizzare degli esami approfonditi. Chi ti segue?» insistette lui.

Ma prima che lei potesse rispondere, Nikolaj si avvicinò con passo deciso.

«Alina, va tutto bene?» chiese con tono teso.

«Sì», rispose lei, abbassando lo sguardo.

«Scusaci, dobbiamo andare», tagliò corto Nikolaj, afferrandole la mano e trascinandola via.

«Alina, aspetta!» chiamò Andrei. Ma lei, con un filo di voce, riuscì solo a sussurrare: «Perdonami.»

Fuori dall’ospedale, Nikolaj esplose:
«Appena mi giro, già ti metti a civettare con un altro.»

«Kolja, ma che dici? Andrei è un amico d’infanzia. Non ci vedevamo da anni», tentò di spiegare Alina.

Lui strinse i denti. «Non m’importa. Sei mia moglie, e tanto basta.»

«Ho perso tutte le amiche, non posso parlare con nessuno. Mi sento in una gabbia», confessò lei con voce spezzata.

Nikolaj si fermò, freddo. «Ricordati che esisti solo grazie a me. Chi mai ti sopporterebbe? Sei quasi un’invalida, piena di malattie. Ho speso una fortuna e nessuno riesce a guarirti. Pensi che sia felice di stare con te, quando potrei avere accanto donne sane e belle?»

Alina abbassò lo sguardo: «Non spendi i tuoi soldi, ma i miei.»

Lui la spinse con forza dentro l’auto. Alina batté il gomito e serrò gli occhi per trattenere le lacrime.

Un tempo era diversa: allegra, appassionata di moto e di ballo. Poi la tragedia aveva colpito la sua famiglia. Suo padre, imprenditore di successo, era morto. La madre era caduta in una cupa depressione. Per anni Alina visse con la paura che si facesse del male. Quando sembrò riprendersi, si risposò con Viktor, lo zio di Nikolaj: un uomo odioso che Alina non riuscì mai a sopportare.

Partì per studiare all’estero. Al ritorno trovò la madre cambiata, svuotata, indifferente a tutto. In quel periodo conobbe l’amore con Andrei. Ma il patrigno scoprì la relazione e la reazione fu brutale: urla, minacce, persino botte.

Poi arrivò Nikolaj, proprio quando la madre morì. «Depressione», dissero i medici. Sul letto di morte, la madre le sussurrò: «Figlia mia, fidati solo del tuo cuore. Lui non mente mai.»

Ma il cuore di Alina era spezzato. Nikolaj seppe conquistare la sua fiducia e la sposò in silenzio. Il patrigno definì il matrimonio un affare vantaggioso. Morì due anni dopo in un incidente stradale.

Alina non credette mai alla coincidenza: pensava che una maledizione gravasse sulla sua famiglia. Intanto, Nikolaj prese in mano gli affari. Lei cercava di riprendersi, ma i malanni tornarono: prima raffreddori, poi un’esauriente debolezza. Il marito le ripeteva che senza di lui sarebbe già morta. Poco a poco le vietò ogni contatto con l’esterno.

Quando Alina propose di lavorare in azienda per distrarsi, Nikolaj la colpì per la prima volta. Lei lo perdonò, convinta che lo facesse solo per proteggerla. Ma presto arrivarono le medicine forzate, le pillole ingoiate tra lacrime e paura. Finché un giorno, dopo l’ennesima dose, crollò a terra.

Al risveglio si trovò in una baracca abbandonata. Udiva voci:

«Kolja, se si sveglia dobbiamo farla tacere.»
«Il dottor Igor Petrovič ha detto che non si riprenderà. E se resiste, aumentiamo i farmaci.»

Alina comprese: l’avevano condannata. Fingendo l’incoscienza, sprofondò nei ricordi, sognando Andrei.

— «Non lasciarmi. Ho paura.»
— «Sono qui, non ti abbandonerò mai.»

Quelle parole la cullarono. Poi, all’improvviso, una voce reale la richiamò: «Alina, svegliati.»

Aprì gli occhi. La luce del sole entrava dalla finestra. Davanti a lei c’era Andrei.

«Andrei… sei morto anche tu?»

Lui rise. «No, e non ho intenzione di morire ancora per cinquant’anni. E spero che lo stesso valga per te.»

Confusa, Alina balbettò: «Dov’è Kolja? Perché mi sento così bene?»

Andrei le prese la mano: «Tuo marito, il medico e un’altra donna hanno già confessato alla polizia. È tutto agli atti. Ti hanno avvelenata per l’eredità. Ora stiamo ripulendo il tuo corpo dalle sostanze tossiche. Non sappiamo quanto recupererai, ma vogliamo che tu viva. E voglio che torniamo in quel posto che amavi tanto… ricordi il lago?»

Alina annuì con le lacrime agli occhi.

Un anno dopo, Alina ed Andrei erano di nuovo lì, al lago.

«Che meraviglia, Andriùša! È proprio qui!» esclamò lei.

«Lo riconosci?» sorrise lui.

«Certo, eravamo noi due.»

Si abbracciarono. Lei rise: «Ma prima troviamo qualcosa da mangiare, ho una gran fame.»

Andrei alzò gli occhi al cielo. «Sempre la solita. Non riuscirò mai a starti dietro.»

Alina lo guardò teneramente, portandosi la mano al ventre. Non solo per me mangio… ma anche per chi porto dentro. Oggi glielo dirò.

E, sorridendo al lago, pensò che l’amore, quello vero, non conosce età né catene.

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