«Quella mattina, entrando nella stanza di mia figlia malata, rimasi di sasso: accanto al suo letto c’era una veggente, con un neonato fra le braccia.»

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Era ormai notte fonda quando accostai sul ciglio della strada. Gli occhi mi bruciavano per la stanchezza accumulata dopo una giornata infinita di lavoro. Nella penombra rischiarata dai fari intravidi una sagoma accasciata, immobile. La curiosità e un istinto di urgenza mi spinsero a scendere dall’auto: il cuore accelerava mentre mi avvicinavo passo dopo passo, pronto a intervenire.

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Davanti a me comparve una giovane donna dall’aspetto fragile. Con un gesto esitante sollevò la mano, quasi implorando. Portava un foulard colorato che le incorniciava il volto e un abito dai motivi vivaci, che le conferiva l’aria di una zingara o di un’artista errante.

«Aiutatemi…» sussurrò con voce appena percettibile.

Mi chinai senza pensarci, guidato dai miei riflessi di medico. «Cosa succede? Sei ferita?»

Scosse piano la testa, ma la sofferenza nei suoi occhi era inconfondibile. «Non io… il bambino… sta arrivando…» mormorò, piegandosi su sé stessa mentre un gemito le sfuggiva dalle labbra.

Un brivido mi attraversò. Era in travaglio. Nel bel mezzo del nulla, lontano da qualunque ospedale, stava per dare alla luce un figlio.

«Respira, andrà tutto bene» le dissi cercando di trasmettere calma, mentre anch’io inspiravo profondamente per raccogliere lucidità. Non assistevo un parto da anni, ma era il momento di agire.

«Come ti chiami?» chiesi per mantenerla vigile.

«Miranda» rispose tra un rantolo e l’altro, mentre un’altra contrazione le strappava un urlo.

Il tempo parve sospendersi. La guidai attraverso ogni spasmo, incoraggiandola e sostenendola come potevo. Poi, con un ultimo sforzo, un pianto sottile squarciò la notte. Tra le mie mani tremava un neonato minuscolo e vivo. Presi un asciugamano dall’auto, lo avvolsi e lo posai sul petto di sua madre, che lo accolse con lacrime di gioia.

«Devi andare in ospedale», suggerii, ma lei scosse il capo con decisione.

«No… non posso. Sono fuggita da mio marito… Lui era crudele», sussurrò evitando il mio sguardo, come se nascondesse qualcosa di più grande. Non insistetti.

Non aveva un rifugio. Eppure non potevo lasciarla sola in quelle condizioni, con un neonato in braccio. «Vieni a casa mia per qualche giorno» proposi. «Solo finché non troverai una soluzione.»

I suoi occhi si riempirono di lacrime e annuì. «Grazie… non so come ripagarti.»

A casa la sistemai nella stanza degli ospiti. Era sfinita, ma serena, stringeva la bambina come fosse un dono divino. Mi confidò di vivere di fiere, leggendo la mano e facendo predizioni. La sua voce dolce, attraversata da un velo di malinconia, mi colpì più di quanto volessi ammettere.

La mattina dopo andai subito a controllare Sarah, la mia bambina di sei anni, che si stava riprendendo da una gamba fratturata. Ma quando spalancai la porta, il letto era vuoto. Il cuore mi balzò in gola.

«Sarah?» la chiamai per casa, nel panico. Poi, istintivamente, corsi nella stanza di Miranda.

La trovai seduta sul letto: aveva la sua neonata tra le braccia e accanto a sé, addormentata, la mia bambina. Miranda canticchiava una ninna nanna, accarezzando i capelli di Sarah con infinita delicatezza.

«Che ci fate qui?» chiesi con voce rotta.

Lei alzò lo sguardo e sorrise. «Stanotte piangeva. L’ho sentita e sono venuta. Si è calmata dopo che le ho raccontato una storia.»

Rimasi immobile, scosso da una sensazione nuova, sospesa tra sollievo e commozione. «Ha sognato sua madre?» mormorai.

Miranda annuì. «Sì. Nel sonno parlava di lei. Aveva solo bisogno di conforto.»

Quelle parole mi toccarono in profondità. Da quando mia moglie non c’era più, Sarah urlava spesso nel sonno, e io non avevo mai trovato il modo di colmare quel vuoto.

«Grazie» sussurrai. «In una notte hai fatto per lei ciò che io non sono riuscito a fare in mesi.»

Miranda abbassò lo sguardo e mormorò: «A volte basta solo qualcuno che ci resti accanto.»

Quella sera presi una decisione. «Miranda, so che volevi ripartire, ma ti chiedo di restare ancora un po’. Per Sarah.»

Lei mi guardò sorpresa, poi sorrise piano. «Se non è un problema, rimarrò volentieri.»

Nei giorni seguenti, la nostra casa si trasformò. Sarah, che da mesi si chiudeva in se stessa, tornò a sorridere. Miranda, con la sua dolcezza e le sue storie piene di magia, portò una luce nuova tra quelle mura.

Una sera Sarah mi chiese: «Papà, Miranda può restare con noi per sempre?» Non seppi rispondere, ma dentro di me sapevo che quella donna e la sua bambina avevano trovato un posto nei nostri cuori.

Ed io? Non provavo solo gratitudine. Sentivo che quell’incontro inatteso aveva riempito un vuoto che non avevo mai avuto il coraggio di nominare.

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