Negli ultimi tempi mia figlia, che ha appena cinque anni, ha cominciato a fare una cosa che mi ha acceso dentro un’allerta continua. Lei è sempre stata una bambino tranquilla, sveglia, curiosa, e con il cibo non aveva mai dato problemi: niente drammi, niente bizze interminabili. Proprio per questo, quando è spuntata quella strana abitudine, mi è sembrata ancora più inquietante.
Succedeva così: io apparecchiavo, la chiamavo a tavola e lei, invece di sedersi come al solito, prendeva il piatto tra le mani e filava dritta… in bagno. Lì dentro c’era una seggiolina pronta, come se fosse diventata parte dell’arredamento. Chiudeva la porta a chiave, si sedeva con una calma quasi adulta e iniziava a mangiare solo dopo essersi assicurata di essere sola. Poi tornava fuori con il piatto ripulito e la stessa faccia innocente di sempre, come se fosse la cosa più normale del mondo.
La parte più strana era che il bagno, per lei, non era più un bagno. Era diventato il posto dei pasti. Punto. All’inizio mi sono detta: “È una fase, un gioco, passerà.” Ma i giorni passavano e la scena si ripeteva identica. Una settimana, due. Poi un mese intero. E lì il fastidio si è trasformato in paura vera: mi venivano in mente ipotesi assurde, scenari che non riuscivo a scacciare. Ho provato a parlarle con dolcezza, a chiederle perché lo facesse, se c’era qualcosa che la spaventava. Lei però si chiudeva come una serratura: sguardo basso, bocca stretta, silenzio ostinato.
Alla fine, con un senso di colpa che mi pesava sullo stomaco, ho fatto quello che non avrei mai voluto fare: al mattino ho sistemato una microcamera nel bagno. Mi ripetevo che era solo per capire, solo per aiutarla, solo per smettere di immaginare il peggio.
A pranzo è andato tutto come sempre: piatto in mano, passetti veloci, porta chiusa, chiave girata. Io sono rimasta fuori con la pazienza tesa come un filo. Poi, all’improvviso, l’ho sentita parlare ad alta voce, con una soddisfazione decisa:
— Ecco! Ad Alex non ne avrà più!
Mi si è gelato il sangue. Alex è suo fratello maggiore.
Quando lui è rientrato nel pomeriggio, l’ho chiamato da parte in cucina, cercando di non farmi tremare la voce.
— Alex… lo sai perché tua sorella mangia sempre in bagno?
Lui ha alzato le spalle, come se gli avessi chiesto che giorno fosse.
— Certo. Perché pensa che le rubo il cibo.
Mi è mancato il fiato.
— E… lo fai davvero? — gli ho chiesto fissandolo negli occhi.
Lui non si è scomposto per niente. Anzi, sembrava quasi ovvio.
— Be’, sì, qualche volta. Solo un pezzetto. È che lei ha sempre le cose più buone delle mie — ha ammesso, senza nemmeno rendersi conto della bomba che stava buttando lì.
In quel momento, tutto si è ricomposto come un puzzle. Niente ombre misteriose, niente segreti spaventosi, niente malattie. Solo una bambina piccola che, sentendosi “derubata” delle sue golosità, aveva trovato la soluzione più logica ai suoi occhi: difendersi. E il posto più sicuro, per lei, era diventato il bagno. Con la porta chiusa a chiave.
Mi è venuto quasi da ridere per la tensione accumulata, ma subito dopo mi è salita una tenerezza dolorosa. Perché in quel gesto c’era tutto: il suo carattere, il suo bisogno di controllo, la sua piccola idea di giustizia. Quando decide che una cosa è “sua”, la protegge fino in fondo. Anche se, per farlo, trasforma il bagno nella sua personale sala da pranzo segreta.
Quella sera ho parlato con entrambi. A lei ho detto che non aveva bisogno di nascondersi, che il cibo non è una guerra. A lui ho spiegato che “prendere un pezzetto” non è un gioco se dall’altra parte c’è qualcuno che si sente derubato. E poi ho fatto una cosa semplice, ma necessaria: ho rimesso ordine, non solo a tavola, ma anche nelle regole di casa.
Da allora la seggiolina è tornata dove deve stare. E il bagno… è tornato a essere un bagno.
