«E il colpo di scena? Mia madre mi ha pregato di non indossare il mio abito da sposa: secondo lei avrei messo in ombra quello di mia sorella. Proprio nel giorno delle mie nozze.»

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Quando mia madre mi ha chiesto di rinunciare all’abito che avevo sempre sognato per il mio matrimonio, con la scusa che avrei potuto “oscurare” mia sorella, ho capito chiaramente fino a che punto fosse pronta a relegarmi in secondo piano. Sempre e comunque seconda.

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Un mese fa ho sposato Richard, l’uomo della mia vita. Da allora abbiamo iniziato insieme un nuovo capitolo: la nostra casetta in centro, le serate passate a discutere su chi deve lavare i piatti e il sostegno costante degli amici e dei parenti. Da bambina avevo immaginato quel giorno come una favola: io, in abito da sposa, che mi sento la donna più bella del mondo. Non per vanità, ma perché ogni sposa dovrebbe avere il diritto di brillare. Eppure, i giorni precedenti alla cerimonia sono stati ben diversi da come li avevo sognati.

Quando portai mamma, Martha, e mia sorella Jane in un atelier nuziale, ero piena di entusiasmo. Non avevo chiuso occhio per l’emozione. Al terzo vestito provato, mi girai verso di loro: era un abito avorio, scollato sulle spalle, con ricami di pizzo che scintillavano e una gonna che scivolava come seta.
Jane spalancò gli occhi: «Lizzie, sei splendida! Richard non riuscirà a staccarti lo sguardo di dosso!».

Mamma, invece, rimase rigida, braccia incrociate e labbra serrate. «Non pensi che sia… troppo?» mormorò, indicando altri modelli. «Meglio non mettere in ombra tua sorella».

Credevo stesse scherzando. Ma no. Mi sussurrò che Jane non aveva ancora trovato un compagno e che, se avesse attirato l’attenzione al matrimonio, magari le cose sarebbero cambiate. «Smettila di pensare solo a te», aggiunse.

Jane, imbarazzata, tentò di fermarla, ma io, ferita, comprai comunque l’abito. Pensavo fosse finita lì. Mi sbagliavo.

La mattina delle nozze, mentre mi preparavo, mamma entrò in camera e vide l’abito appeso. «Davvero lo indosserai?» chiese, delusa, cercando di convincermi a sceglierne uno più semplice. Rifiutai. Poco dopo entrò Jane… con un lungo vestito bianco, stretto in vita e ricamato sul corpetto. Non un abito da damigella, ma da vera sposa.
Alle sue spalle, mamma sorrideva compiaciuta.

Decisi che non avrebbero rovinato il mio giorno. All’altare, lo sguardo di Richard cancellò ogni ombra. Ma al ricevimento arrivò il momento della verità: Jane prese il microfono per il discorso da damigella. Con voce tremante, disse davanti a tutti: «Mamma mi ha sempre messa davanti a te. Oggi mi ha convinta a indossare questo vestito per farmi notare. Ma non è giusto. È il tuo giorno, Lizzie».

Poi lasciò la sala e tornò poco dopo con un elegante abito blu. Tutti applaudirono. Io corsi ad abbracciarla.

Più tardi, anche mamma si avvicinò. Disse che aveva sempre creduto di proteggere Jane, ma che non si era resa conto di quanto mi stesse ferendo. Pianse, promettendo di cambiare. Non so se manterrà la parola, ma forse era un inizio.

Quella sera vidi Jane parlare con un ragazzo al bar, sorridente e finalmente serena. Forse, smettendo di competere, aveva trovato il modo di farsi notare davvero.

E io, guardandomi allo specchio con l’abito che avevo scelto, capii che non avevo mai avuto dubbi: era quello giusto.

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