Amber aveva quasi archiviato l’idea dell’amore, finché a un barbecue di famiglia non incrociò Steve, un vecchio amico di suo padre. Bastarono poche ore perché tra loro nascesse qualcosa di inatteso: conversazioni semplici, uno humor tranquillo, un modo di guardarla che la faceva sentire vista, finalmente. In breve tempo la loro relazione prese ritmo e, prima che se ne rendesse conto, Amber stava infilando un abito da sposa davanti allo specchio della sua vecchia cameretta, incredula e felice.
Quel giorno era cominciato come tanti in casa dei suoi: prato pieno di auto, odore di carne alla griglia, risate provenienti dal giardino. «Sarà il solito raduno del garage di papà», aveva sospirato togliendosi le scarpe all’ingresso. Poi il campanello. «Deve essere Steve», aveva detto suo padre, aprendo la porta con la spatola ancora in mano. Lui era lì: alto, segnato da una bellezza matura, i capelli spruzzati di grigio e quegli occhi caldi che la disarmarono in un istante.
Più tardi, quando la macchina di Amber si rifiutò di ripartire, fu Steve a bussare al finestrino. «Ci penso io», disse arrotolandosi le maniche. Due giri di chiave dopo, il motore tornò a vivere. «Ti devo una cena», scherzò lei. «Allora è un appuntamento», rispose lui. Da lì tutto filò veloce: pranzi improvvisati, passeggiate al tramonto, una familiarità che crebbe come se fosse sempre stata lì ad attenderli.
Il loro matrimonio fu raccolto, tra pochi amici e i parenti più stretti. La sera, rientrati in camera, Amber si fermò sulla soglia: Steve era seduto sul bordo del letto, la testa leggermente piegata, come in ascolto. Parlava a bassa voce, scegliendo le parole con cura, come se dall’altra parte ci fosse qualcuno che non voleva spaventare.
«Steve?», mormorò avvicinandosi.
Lui sollevò lo sguardo, lucido di una tristezza antica. «Stavo parlando con Stacy», disse. «Mia figlia. È morta in un incidente… ma a volte la sento ancora qui.» Le labbra gli tremarono su quell’“ancora”, come un ponte tra passato e presente.
Il cuore di Amber ebbe un sobbalzo, ma non per paura. Si sedette accanto a lui e gli prese la mano. «Non sei solo. Il dolore cerca vie per farsi ascoltare. Possiamo trovare insieme un modo perché faccia meno male.»
Steve annuì, come alleggerito dal fatto di non dover più proteggere quel segreto. «Temevo mi vedessi come un uomo rotto.»
«Siamo tutti un po’ scheggiati», rispose lei. «L’importante è cosa scegliamo di farne.»
Fu in quella notte—imperfetta, vera—che la loro unione prese davvero forma. Non come favola senza ombre, ma come patto: condividere le cicatrici, parlare quando fa male, chiedere aiuto quando serve. Amber capì che l’amore non è inseguire la perfezione, bensì restare quando emergono i fantasmi. E Steve imparò che la memoria non è una prigione, se c’è qualcuno seduto accanto a te a reggere il peso del ricordo.