«Per favore… quanto può valere?»
La giovane posò sul banco di vetro una collana di perle sottili. Le dita le tremavano. Il neonato tra le sue braccia si agitava nervoso, emettendo un pianto stanco e rotto. Lei provò a cullarlo con movimenti lenti, ma nei suoi occhi, offuscati dalla stanchezza, si leggeva solo disperazione.
Marcus Whitmore, elegante nel suo completo blu, abbassò lo sguardo sul gioiello. Stava per trattarlo come un oggetto qualsiasi — l’ennesimo ricordo di famiglia trasformato in contanti — quando un dettaglio gli trafisse la memoria. Il fermaglio, il tipo di filo, quel particolare chiarore lattiginoso delle perle…
Non era una collana qualunque. Era quella collana. Quella che lui stesso aveva regalato, quasi venticinque anni prima.
«Dove l’ha presa?» domandò, con un tono più duro di quanto volesse.
La ragazza ebbe un sussulto.
«Era di mia madre» rispose piano, stringendo il bambino al petto. «L’ha lasciata a me. Ma… non ho scelta. Devo comprare il latte in polvere e non ho un soldo.»
Le sue parole gli arrivarono addosso come una coltellata. Marcus studiò il suo viso: gli zigomi marcati, il taglio degli occhi. Un’inquietudine antica gli serrò il respiro.
«Dovrei farla valutare con calma» disse, cercando di dare alla voce un tono professionale, «ma posso già dirle che vale molto più di quanto pensa.»
Lei scosse il capo, impaziente.
«Non mi importa quanto vale. Mi basta avere abbastanza per oggi.» Le lacrime le offuscarono lo sguardo. Marcus, impeccabile nella postura, non riusciva a distogliere gli occhi da lei: non era solo una cliente in difficoltà. In quella ragazza c’era qualcosa di terribilmente familiare.
«Come si chiama?» chiese, quasi in un sussurro.
Esitò, poi rispose: «Alicia.»
La gola di Marcus si chiuse. Alicia. Il nome che sua figlia avrebbe dovuto avere. La figlia che non aveva mai conosciuto.
Sentì il pavimento mancargli sotto i piedi. Poteva davvero essere… lei?
Si schiarì la voce, abbozzò una scusa e si ritirò nel retro, la collana stretta tra le dita. I ricordi lo travolsero in un’ondata violenta: venticinque anni prima era solo un ragazzo, e Diana, fiera e luminosa, gli aveva stravolto il mondo. Quando lei gli aveva confessato di essere incinta, lui era scappato. Spaventato. E spinto da una famiglia ricca, fredda e manipolatrice, che gli aveva ripetuto che era “per il suo bene”. Si era convinto che quella fosse la scelta giusta. Poi, per anni, si era chiesto che fine avessero fatto lei e il bambino.
Ora, con quel filo di perle tra le mani, gli sembrava che il destino lo avesse trascinato di nuovo esattamente dove aveva sbagliato.
Inspirò a fondo e tornò al banco. Alicia stava ancora cercando di calmare il piccolo, sussurrandogli qualcosa all’orecchio.
«Non dovrebbe venderla» disse Marcus, con una dolcezza che stupì persino lui. «Questa collana è parte della sua storia.»
Alicia lo fissò con lo sguardo vuoto di chi non dorme da giorni.
«La storia non si mangia» ribatté. «Il mio bambino non beve latte da due giorni. Mi serve solo passare la notte.»
Marcus sentì il cuore farsi pesante. Ogni fibra del suo essere lo spingeva a dirle la verità, ma la vergogna lo tratteneva. E se non mi crede? E se mi odia?
«Posso offrirle molto più del valore reale» disse alla fine, rifugiandosi nella sicurezza del ruolo di gioielliere. «Basterà per star tranquilla per qualche mese.»
Lei aggrottò la fronte.
«Perché? Non sa nemmeno chi sono.»
Lui esalò un respiro incerto.
«Forse avrei dovuto saperlo… tanti anni fa.»
Alicia lo guardò, confusa. «Cosa vuole dire?»
Il bambino ricominciò a piangere. Lei abbassò gli occhi su di lui, e sul suo viso si mescolarono sfinimento e tenerezza. Marcus fu attraversato da una fitta dolorosa. Quel bambino non era solo suo figlio. Era suo nipote.
Il silenzio, all’improvviso, divenne spesso come vetro. Alicia cercava spiegazioni nel volto dell’uomo. Lui temeva le parole che doveva pronunciare.
Lei scosse il capo, facendo un mezzo passo indietro. «Non ho bisogno di compassione. Mi dica la cifra e basta.»
Marcus sentì che era arrivato al bivio: lasciarla uscire per la seconda volta dalla sua vita, o trovare finalmente il coraggio che un tempo non aveva avuto.
«Alicia» disse piano, «credo di essere tuo padre.»
Gli occhi di lei si spalancarono. «Come ha detto?»
«Conoscevo tua madre. Diana. L’ho amata. E sono stato un vigliacco. L’ho lasciata quando aveva più bisogno di me. Questa collana… l’ho regalata io a lei. Non merito il tuo perdono, ma non riesco più a starmene zitto.»
Alicia arretrò di un altro passo, stringendo il bambino come uno scudo. Sul suo volto passarono in rapida successione rabbia, incredulità, dolore.
«Ci hai abbandonate?»
«Sì» ammise lui, con la voce rotta. «Ed è il più grande rimpianto della mia vita. Ho costruito un impero, ma niente vale quanto questo momento. Se me lo permetti… voglio aiutarti. Non come gioielliere. Come padre.»
Le lacrime le velarono gli occhi, ma non abbassò lo sguardo.
«Non puoi entrare nella mia vita adesso e risolvere tutto a colpi di assegni. Non eri lì quando serviva davvero.»
Marcus annuì lentamente.
«Hai ragione. Il passato non si aggiusta. Ma posso esserci adesso… per te e per lui.» Si voltò verso il bimbo, che stringeva ancora la maglia della madre con le manine minuscole.
Alicia rimase zitta a lungo. Sembrava in bilico su un filo invisibile tra il desiderio di uscire e la tentazione di restare. Alla fine si girò verso la porta e si incamminò, ma si fermò sulla soglia, le spalle appena scosse da un tremito.
«Se lo vuoi davvero» disse senza voltarsi, «dimostralo. Non con i soldi. Con il tempo.»
Il cuore di Marcus ebbe un sussulto.
«Lo farò» promise. «Ogni giorno, se me lo permetterai.»
Alicia uscì dalla gioielleria con un passo lento ma deciso.
Marcus restò dietro il bancone, le mani appoggiate al vetro, il respiro corto. Dentro di lui paura e speranza si fronteggiavano come due avversari giurati.
Aveva tra le mani la più fragile delle opportunità: una seconda possibilità di essere il padre che non era stato.
E per la prima volta dopo decenni, pregò davvero di non sprecarla.
