«Qualcuno vicino a te ti sta avvelenando, goccia dopo goccia, con una precisione quasi premurosa» sussurrò il medico, lanciando uno sguardo carico di sospetto al mio premuroso marito.

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«Qualcuno a lei molto vicino la sta avvelenando, lentamente, goccia dopo goccia», mormorò il medico, lanciando un’occhiata carica di sospetto verso mio marito, sempre così sollecito e affettuoso.
Non avrei mai pensato di arrivare a un punto in cui vivere mi sarebbe sembrato insopportabile fino al midollo. La mattina mi sveglio svuotata, come un frutto spremuto fino all’ultima fibra: gli occhi si aprono appena, le palpebre pesanti come se qualche mano invisibile cercasse di richiuderle. Posso dormire dieci ore di fila, come un animale in letargo, ma quando metto i piedi a terra mi sento a pezzi, smontata e rimontata alla rinfusa.
A mezzogiorno la mia mente è ancora immersa in una nebbia densa, e la sera ho la sensazione che mi stiano già preparando per la bara. Le vertigini non mi abbandonano, è come svegliarsi dopo aver tracannato una bottiglia intera di vodka, anche se non tocco alcol da più di dieci anni. La nausea è continua, sembra una sbronza infinita… solo che manca la notte di eccessi che di solito la precede.
I capelli cadono a ciocche: li raccolgo dal pavimento del bagno come fosse un raccolto, interi ciuffi rimangono fra le dita, e ho il terrore di ritrovarmi presto pelata, come una patata marcia dimenticata in cantina. In sei mesi ho perso venti chili: è come se qualcosa – o qualcuno – mi stesse succhiando via carne, energia, vita.
Andrey, mio marito, è stravolto dall’ansia. Mi trascina da uno specialista all’altro, come se dietro ogni porta ci fosse nascosta una cura miracolosa. Abbiamo visto una vera e propria armata di medici: analisi su analisi, referti pieni di termini incomprensibili, diagnosi che si smentiscono a vicenda. Abbiamo lasciato tanti soldi da poterci comprare un fuoristrada, forse due. Ma nessuno sa darmi una risposta chiara. Ogni medico alla fine allarga le braccia, prescrive vitamine o consiglia “più riposo”, come se non sapessi già che il mio corpo urla riposo e comunque non riesce a ritrovarlo.
«Verunka, sdraiati un po’», insiste Andrey, sempre vicino a me, premuroso come una chioccia. «Ti metto a posto il cuscino, ti copro bene… poi ti preparo una vellutata calda e un tè alla menta, come piace a te.»
Annuisco grata, seguendo con lo sguardo le sue spalle larghe che si allontanano. Quindici anni insieme: mezza vita. È sempre stato dolce, attento, e adesso che sto crollando è diventato la mia ombra, non mi lascia un attimo. Ha persino preso dei giorni di ferie, lui che ha un capo tirannico: eppure è riuscito a ottenere qualche giorno libero.
«Ti tireremo fuori da questa, amore mio», mi sussurra baciandomi la guancia. «Non mollare, ce la faremo.»
I miei genitori non ci sono più: sono morti anni fa in un incidente che ancora mi lacera dentro ogni volta che ci penso. Mia sorella vive dall’altra parte del paese, a Novosibirsk, inghiottita da lavoro e famiglia. Le amiche? Sparite, ognuna nel proprio vortice di impegni. Qualche messaggio ogni tanto per i compleanni, e finisce lì.
Così il mio unico punto fermo resta Andrey, il mio Andriuska, la mia fortezza in carne e ossa.
A marzo, in una giornata grigia e fangosa, Andrey mi fissò una visita da un oncologo, il dottor Sergej Palych, in una clinica privata. Per ottenere quell’appuntamento mosse cielo e terra, spendendo un patrimonio. Alla reception esplose:
«È da sei mesi che mia moglie si spegne davanti ai miei occhi e nessuno fa niente! Voglio il miglior specialista che avete, non mi importa quanto costa!»
La segretaria, spiazzata da quella furia, non osò obiettare e ci trovò subito uno slot libero.
Il dottor Sergej Palych avrà avuto poco più di quarant’anni, barba curata, sguardo tagliente. Sfogliò le mie analisi con un’aria sempre più cupa.
«Debolezza estrema, calo di peso, nausea, caduta dei capelli… e tutto questo da circa sei mesi, con un peggioramento costante?»
Annuii, stringendo la mano di Andrey come se fosse l’unica cosa che mi tenesse ancorata alla realtà.
«Dottore, mia moglie si spegne davanti a me! È cancro? Perché nessuno ci dice la verità?» quasi gridò Andrey.
«Direi che l’oncologia possiamo escluderla», rispose il medico dopo un momento di silenzio. «Ma i sintomi restano molto seri. Dobbiamo approfondire.»
«Qualsiasi cosa!» scoppiò mio marito. «Vi prego, salvatela!»
«Bene. Faremo altri esami. Torni tra tre giorni. Ma da sola.»
«Come, da sola?» si indignò Andrey.
«Ci sono cose che vanno discusse con la paziente in totale riservatezza», spiegò calmo il dottore.
I tre giorni successivi scivolarono via in una specie di torpore lattiginoso: dormivo quasi sempre, bevevo tè e decotti che Andrey preparava instancabile, non mi lasciava un minuto.
Arrivò il giorno della visita di controllo.
«Come si sente oggi?» chiese Sergej Palych, seduto alla scrivania.
«Forse un pochino meglio. La nausea si è placata… saranno i farmaci?»
«Mi ricorda tutto ciò che assume?»
Elencai le medicine prescritte, poi aggiunsi che mio marito mi preparava anche tisane di erbe, “per rinforzare il corpo”, diceva lui.
«Chi prepara esattamente questi decotti?»
«Sempre Andrey, chi altri? È un angelo.»
Il medico annuì piano, poi si alzò, chiuse con cura la porta e tornò a sedersi più vicino a me. La sua voce scese di tono.
«Signora Vera, quello che sto per dirle le sembrerà assurdo. Le chiedo solo di ascoltarmi fino in fondo.»
Sentii il cuore battere all’impazzata, come se volesse fuggire dal petto.
«Non è un tumore», disse piano, scandendo ogni parola. «Lei è avvelenata. Nel suo sangue abbiamo trovato tracce di arsenico. È questo che le sta distruggendo il corpo.»
Il mondo si inclinò. Arsenico. Avvelenata.
Le orecchie fischiavano, le parole arrivavano ovattate. E allora, chi? Chi poteva farlo, se non la persona che da mesi non mi lascia un istante, che cucina ogni piatto, che versa ogni tazza di tè?
La risposta si impose dentro di me, fredda e accecante come un lampo:
se qualcuno mi sta avvelenando… quel qualcuno non può che essere Andrey.

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