Capitolo 1 – Notifiche sgradite
Alexey Smirnov si sfiorò le tempie, esausto dopo una giornata interminabile, mentre il telefono vibrava sul cruscotto. Sul display, un nuovo messaggio di sua madre:
una foto di una ragazza sorridente e poche righe:
«Figlia dell’amica di Inna. Economista. Ventinove anni».
Alexey sospirò. Era la settima “candidata ideale” in un solo mese.
A trentacinque anni aveva messo basi solide: un’azienda che andava a gonfie vele, un grande appartamento in centro e una villa moderna fuori città. Gli mancava solo ciò che non si può comprare: una famiglia. Non che non ci avesse provato; ma dopo il tradimento di Victoria, che lo aveva trattato come un bancomat, la fiducia gli era crollata.
Un’altra notifica lampeggiò:
«Sabato veniamo da te con papà. Conoscerai Elizaveta».
Alexey sbottò piano:
— Ancora? Sempre la stessa storia. —
Spense il telefono e abbassò il finestrino. L’aria serale, umida di pioggia, gli bagnò il viso.
Capitolo 2 – L’incontro
Le luci della città si specchiavano sull’asfalto lucido quando un uomo malmesso gli si parò davanti, bussando al vetro.
— La prego, ci aiuti… non abbiamo da mangiare…
Alexey controllò il portafoglio: contanti quasi zero.
— Allontanati dall’auto, — disse secco.
Poco più avanti, un’insegna di bancomat illuminava un sottopassaggio. Decise di fermarsi: avrebbe prelevato e liquidato l’uomo. Sotto la pioggia, corse giù riparandosi con la giacca.
All’uscita, sotto un lampione tremolante, c’era una donna seduta per terra in un cappotto logoro. Accanto, un bimbo biondo di circa quattro anni, pulito, serio. Davanti a loro, su un telo di plastica, cartoline dipinte a mano. Non chiedevano l’elemosina: le vendevano.
La macchina sputò le banconote. In quell’istante ad Alexey venne un’idea folle e, inspiegabilmente, sensata.
— Posso parlarle un momento? — le chiese avvicinandosi.
La donna alzò gli occhi: grandi, fermi, una dignità che la miseria non aveva spento.
— Non mendichiamo. Vendiamo cartoline.
— Lo vedo. Sono Alexey. C’è un bar qui vicino, caldo e asciutto. Ho una proposta di lavoro.
— Niente cose strane, — rispose stringendo a sé il bimbo.
— Niente ambiguità. Lavoro vero. Ben pagato. Mi servono dieci minuti.
Lei esitò, poi sussurrò:
— Kirill, vuoi un tè caldo? —
Il piccolo annuì.
— Va bene, — disse. — Mi chiamo Marina. Avete dieci minuti.
Capitolo 3 – La proposta
Seduti al tavolino, Marina lo fissava incredula.
— Vuoi che io finga di essere tua moglie?
Alexey annuì, mescolando il caffè.
— Sì. Questo weekend tu e Kirill venite da me. In cambio: cinquantamila rubli e due mesi di alloggio nella mia villa, finché non vi sistemate.
— Per quale motivo?
— Per far smettere i miei di combinarmi matrimoni. Se penseranno che ho già una famiglia, mi lasceranno in pace.
Marina guardò il figlio che disegnava su un tovagliolo.
— Non abbiamo abiti adatti a una casa come la tua.
— Ci penso io. Vestiti, cibo, tutto. Devi solo accettare.
Lo studiò a lungo, poi disse a voce bassa:
— Non credere che dormiamo nei sottopassaggi. Un posto ce l’abbiamo… ma siamo dovuti scappare.
— Da chi?
— Non rientra nell’accordo.
Capitolo 4 – La casa che scalda
La villa di campagna li accolse con un silenzio soffice: grandi vetrate, legno chiaro, linee pulite. Il riscaldamento crepitava e profumava di resina. Kirill, con un maglioncino nuovo e le dita appiccicose di succo, esplorava tutto come un piccolo esploratore. Marina, nell’abito prestato che le stava a pennello ma non sentiva suo, si muoveva con cautela.
— I miei arrivano tra un’ora, — disse Alexey porgendole una cartellina. — Qui c’è la “nostra storia”: ci siamo conosciuti a una mostra d’arte, sposati sei mesi fa, stiamo aspettando i documenti per adottare Kirill.
Marina sfiorò le pagine.
— Sei incredibilmente organizzato per un’idea così folle.
Un lampo ironico negli occhi di lui.
— Nel lavoro improvvisa chi sparisce.
Dalla ghiaia del vialetto arrivò il rumore di un’auto. Alexey impallidì appena.
— Sono in anticipo. Pronta?
Marina inspirò, si sistemò una ciocca e fece segno a Kirill.
— Andiamo a conoscere i nonni.
Capitolo 5 – Due ingressi, un verdetto
Entrò per prima Irina Smirnova: figura slanciata, passo sicuro, il calore di un camino acceso. Abbracciò Marina senza esitare.
— Finalmente! Pensavo che Alexey ci nascondesse la nuora per gelosia.
Poi toccò a Viktor Smirnov: alto, lineamenti severi, sguardo da ex militare. Strinse la mano al figlio e si chinò sul bambino.
— Tu devi essere Kirill. Ho un debole per i cavalieri coraggiosi.
Il ghiaccio si sciolse presto. Kirill, vinta la timidezza, trascinò “il nonno” a vedere i dinosauri. Irina e Marina si sedettero. Si parlò di lavoro, casa, routine; poi, quasi per caso, di arte.
— Ti brillano gli occhi, — notò Irina. — Dipingi?
Marina esistette un attimo.
— Ho studiato all’Accademia. Da un po’… non dipingo.
Alexey inclinò il capo: dettaglio fuori copione. Irina sorrise come chi scorge un germoglio sotto la neve.
— La mano non si perde. Al massimo si impolvera.
Capitolo 6 – Sotto le stelle
A notte, col silenzio in casa, Marina uscì in terrazza. Il cielo, lavato dalla pioggia, punteggiato di stelle. Alexey arrivò con due tazze fumanti.
— È andata bene, — disse piano. — Ci hanno creduto.
— Non mi piace mentire a tua madre. Ha uno sguardo che scalda.
— È solo per poco.
Marina lo fissò, poi cedette a metà.
— Ognuno ha una parte che resta al buio, Alexey.
— Solo Alexey, — corresse lui, sorridendo.
Silenzio. Poi, come liberandosi di un nodo:
— Ero sposata. Ricco, influente, abituato a vincere. Quando ho deciso di andarmene, ha minacciato di portarmi via Kirill. Ho preso mio figlio e sono scappata.
— Come si chiama?
— Non importa. Se ci trova, userà ogni mezzo.
— Se restate, vi proteggo, — disse Alexey, senza enfasi.
— Non sai contro chi ti metti.
— So con chi sto: con la donna che preferiva vendere cartoline piuttosto che chiedere l’elemosina.
Capitolo 7 – L’album
La mattina dopo, Irina aprì per caso un album sul divano. Acquerelli: volti pieni di vibrazioni, mani che parlavano più degli sguardi, tre ritratti di Kirill con tre umori diversi. E un abbozzo di Alexey, tracciato in fretta, come a cacciare un pensiero.
— Queste non sono “cartoline”, — disse quando Marina entrò, imbarazzata. — Sono ritratti vivi.
Marina arrossì.
— Non posso firmarli col mio nome.
Irina la guardò con calma da madre abituata a testardaggini.
— Per via dell’ex? Non sottovalutare la legge… né chi ti vuole bene.
— Lei sapeva?
— Una madre vede le crepe e le venature del cristallo. E voi due… — lasciò la frase sospesa.
Capitolo 8 – Verifiche
Quella sera, dopo la partenza dei genitori, Alexey rientrò nello studio e sorprese Marina al computer. Lei chiuse in fretta, ma lui colse il logo della sua azienda riflesso nel vetro.
— Ti stavi informando su di me?
— Valutavo, — ammise. — Dovevo capire se potevo fidarmi. Non voglio scambiare un pericolo con un altro. Ho letto dei tuoi progetti sociali, borse di studio, fondazione per minori. Non fai rumore: questo mi piace.
— E tu? Hai lasciato tracce.
— Il mondo che ho lasciato è bravo a cancellarle, — rispose asciutta. Poi aggiunse: — Si chiama Leonid Kraynev.
Alexey irrigidì le spalle.
— Kraynev… di Kraynev Invest.
— Sì. Tra poco firmerà con te, vero?
— Tra un mese. O forse no. — La fissò, misurando la scelta. — Un contratto non vale una vita.
— Parli di milioni.
— Parlo di scegliere da che parte stare.
Capitolo 9 – Un “no” preparato
Il giorno dopo Alexey riunì i suoi. Poche frasi nette: l’accordo con Kraynev non si farà. Obiezioni molte, rischi reali. La sua decisione tagliò corto.
La sera trovò Marina a impastare biscotti con Kirill. Vaniglia e cannella nell’aria.
— L’accordo salta, — disse.
— Non dovevi farlo per me.
— Non l’ho fatto per te.
— Ah no? — lei alzò un sopracciglio.
— L’ho fatto per noi.
Quel “noi”, ancora acerbo, rimase sospeso come una nota non risolta.
Capitolo 10 – L’uomo al cancello
Una settimana dopo, il campanello del cancello trillò secco. Sul monitor, il volto lucido di Leonid Kraynev: impeccabile, freddo, il sorriso di chi tratta le persone come variabili.
Alexey lo fece entrare. In salotto, a distanza di sicurezza.
— Dov’è mia moglie? — chiese senza giri di parole.
— Non qui.
— Non recitare. So che Marina è da te. E so del contratto. Curiosa coincidenza.
— Ex moglie, — corresse Alexey. — E le coincidenze hanno cause.
Kraynev si spazientì.
— Non fare l’eroe. Conosci le mie risorse.
— Conosco anche i limiti della legge, — ribatté Alexey. Avviò un audio sul telefono: la voce di Kraynev, più dura, più giovane: «Il bambino resta con me. A lei lascio casa e cognome, se si comporta bene». Poi un silenzio pesante.
— Ho copie depositate, — disse calmo. — E amici che amano la giustizia più del potere. Se vuoi il tribunale, andiamo.
Per la prima volta, un’ombra negli occhi di Kraynev. Fece un passo indietro, aggiustò il polsino come fosse un argomento.
— Non è finita.
— Finisce quando lo decide la realtà, — replicò Alexey. — E la realtà è che Marina non è più tua.
La porta si chiuse lasciando nell’aria colonia costosa e sconfitta trattenuta.
Capitolo 11 – Restare
Marina era alla finestra da troppo per fingere indifferenza. Quando Alexey rientrò, lei non domandò nulla.
— Non vi disturberà più, — disse lui.
— Avrei dovuto parlartene prima. Avrei dovuto…
— Mi hai detto l’essenziale. Il resto lo stiamo imparando.
Abbassò lo sguardo sulle mani.
— L’accordo scade oggi. Possiamo andare.
— Restate, — la interruppe. — Non per l’accordo. Perché con te e Kirill questa casa sembra casa.
— Alexey…
— Ogni mattina penso se avete dormito bene. Kirill mi chiede quando torniamo al parco. E quando ti vedo dipingere capisco cos’è una famiglia: qualcuno che ti guarda essere te stessa.
Marina sorrise, gli occhi lucidi.
— Era iniziato come una bugia.
— A volte le maschere rivelano, — disse lui. — Ti amo, Marina.
La parola cadde morbida e rimase.
— Anch’io, — sussurrò lei.
Capitolo 12 – Il brindisi
Un mese dopo, Irina e Viktor tornarono a cena. Tavola piena, luce calda, un vaso di tulipani spalancati come fiammelle. Kirill si arrampicò in braccio ad Alexey con naturalezza.
Viktor alzò il calice.
— Alla nostra famiglia. E a quelle piccole bugie che, a volte, aprono la strada alla felicità.
Marina sgranò gli occhi.
— Sapevate?
Irina rise piano.
— Una madre capisce quando due fingono… e quando smettono. Non volevamo rovinare il finale.
Kirill tirò la manica di Alexey.
— Papà… sarai il mio papà vero?
Alexey guardò Marina. Lei annuì con un sorriso pieno e bagnato.
— Lo sarò, — disse stringendo il bambino. — Il più vero che c’è.
Fuori la notte era limpida. Dentro, alle pareti, già i primi quadri di Marina: un mare in controluce, due mani che si cercano, il profilo di un uomo che guarda avanti. La nuova famiglia prendeva posto tra le cose, senza far rumore, come la luce del mattino che si posa sul tavolo e resta.
Fine.
