«Dove te ne andrai non mi riguarda, ma da qui sparisci! Questa è casa mia!» ringhiò la suocera, carica di disprezzo. La nuora, però, non abbassò lo sguardo: con poche frasi nette e ben mirate le mostrò, senza alzare la voce, chi teneva davvero le redini della situazione.

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La sera scendeva lenta su San Pietroburgo, avvolgendo i viali in un crepuscolo morbido. In un trilocale alla periferia, Alla Petrovna ispezionava la cucina con l’occhio inflessibile di chi non perdona una briciola fuori posto. Passò il dito sul bordo lucido della stufa appena ripulita, come a scovare una colpa nascosta, e il volto le si irrigidì.

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«Sveta, ma ti pare?» sbottò, la disapprovazione gocciolante in ogni sillaba. «Quante volte ti ho detto che la stufa si pulisce subito, quando è ancora tiepida? Così non si incrosta.»
Svetlana, piegata sul lavello, finiva di sciacquare i piatti. Alle parole della suocera le spalle le si tesero appena, ma continuò con gesti lenti e misurati, nascondendo la stanchezza.

«Alla Petrovna, sono stata fuori tutto il giorno», rispose pacata. «Ho preso Misha all’asilo, ho cucinato… adesso metto a posto.»

«Sempre di corsa, e intanto la casa va in rovina! Io parlo per il tuo bene.»

Sveta inspirò a fondo. Da tre settimane non aveva conosciuto una pausa: scadenze in ufficio, capi sempre nervosi e, una volta a casa, il coro puntuale delle critiche. Ogni frase era una goccia in più nel bicchiere della pazienza.

La suocera non mollava: «Ai miei tempi si lavorava e la casa brillava. E guarda le tende: è una settimana che non le cambi! Le avrei lavate io, ma con la mia pressione…»

«Sì, me lo ricorda spesso. Soprattutto quando c’è qualcosa da fare,» replicò Svetlana, con un’ombra di ironia.

Alla strinse gli occhi. «E non scordarti che se vivi qui è perché l’ho permesso io. Senza di me, chissà dove saresti!»

Proprio allora Andrey entrò. Stanco, ma subito vigile davanti a quell’aria tagliente. «Che succede?» domandò, guardando prima la madre poi la moglie.

«Niente,» disse Sveta, quieta. «Tua madre è convinta che non sappia tenere in ordine la casa.»

«Voglio solo il meglio per queste mura,» ribatté Alla.

Andrey sospirò. «Mamma, Sveta è stata fuori tutto il giorno…»

«E io non ho forse lavorato una vita? Eppure casa mia era sempre ineccepibile!» lo troncò lei.

Fu allora che Svetlana posò l’ultimo piatto con un tonfo secco e, senza alzare la voce, disse: «Ogni sera c’è qualcosa che non va: cucino e non basta, pulisco e trovi difetti, stendo e ti lamenti di come lo faccio. Questo non è insegnare, è criticare. E io non sono la tua domestica.»

Il volto di Alla si fece duro. «Questo è il mio appartamento,» scandì. «Se non ti sta bene… non so dove andrai a vivere.» Poi si voltò e scomparve nella sua stanza, chiudendo la porta con decisione.

Il mattino seguente, Sveta la sentì parlare con un’agenzia immobiliare. Il messaggio era limpido: voleva vendere.
La sera, Andrey cercò di sdrammatizzare, ma quando uscì dalla camera della madre aveva il viso cereo. «Lo farà davvero. Dice che è nel suo pieno diritto.»

In camera, cercò la via più facile: «Dovresti chiederle scusa. Magari ci ripensa.»

«Scusarmi? Dopo tutto questo?» replicò Svetlana, incredula.
Capì però che Andrey non avrebbe cambiato posizione; allora le venne un’idea. Se Alla era così certa di cavarsela da sola, tanto desiderosa della casa di campagna e della sua autonomia, si poteva vedere quanto a lungo avrebbe resistito.

Il giorno seguente annunciò che sarebbe andata a Mosca con Misha per due settimane. I primi giorni, Alla non batté ciglio. Al quarto, arrivarono le chiamate: dapprima prudenti, poi via via più esitanti, finché ammise: «Non intendevo davvero vendere. Volevo solo darvi una lezione… Forse con te sono stata troppo dura.»

Quando tornarono, l’accoglienza fu timida ma sincera. La casa profumava di pulito e in cucina li aspettava una torta di mele, preparata per Sveta.
Quella sera, rimaste sole, Alla disse piano: «Mi ero abituata al rumore della casa piena. La verità è che… ho bisogno di voi.»

Da quel momento, l’aria cambiò. Non sparirono tutte le osservazioni, ma si fecero più leggere, e per la prima volta si parlava senza ferire.

Tre mesi dopo, a tavola tutti insieme, Andrey disse: «Ho capito una cosa: una casa non sono solo muri e tetto. Sono le persone che ci vivono… e come si trattano.»
Fuori, le luci di San Pietroburgo tremolavano sull’acqua. Dentro, c’era finalmente pace.

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