La bambina, il volto bagnato di lacrime, alzò una mano tremante verso il capanno cadente. «La mia mamma è lì dentro…» mormorò, spezzando le parole tra i singhiozzi. Quando gli agenti ne spalancarono l’uscio, un freddo tagliente li attraversò dalla nuca ai talloni.

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La pattuglia avanzava a passo d’uomo lungo una strada di campagna sprofondata nel silenzio. Ai margini, alberi nudi come scheletri gettavano ombre filiformi; vecchie staccionate annerite dal tempo, coperte di muschio, si perdevan nella bruma dell’alba. Nel chiarore indeciso prima del sole, quelle linee sbiadite parevano dissolversi nella nebbia.

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Gli agenti Ray Donovan e Adam Miller avevano appena terminato di compilare una multa per eccesso di velocità quando la radio gracchiò:
— Segnalazione urgente: bambina sola all’incrocio tra Ottava Strada e Baxter. Appare impaurita. Nessun adulto nelle vicinanze.

Senza esitare imboccarono un viottolo stretto, poco più di un sentiero, in cui a malapena sarebbe passato un fuoristrada. L’aria, tagliente e umida, entrava fin nelle ossa. Fu lì che la videro.

Al centro della strada ghiaiosa, una figura minuscola. Indossava pantofole, una felpa blu scuro e pantaloni neri — abiti troppo leggeri per quel freddo. Il viso e le mani erano imbrattati di fango, i capelli in disordine; le labbra socchiuse come se volesse gridare ma la voce non uscisse.

— Aiuto… — sussurrò quando scorse l’auto. — Per favore… mia mamma… è chiusa nel capanno!

Ray inchiodò e, insieme a Miller, balzò fuori. La bambina corse verso di loro, singhiozzando.

— Avrà cinque anni a dir tanto, — mormorò Miller.

— Mi ha detto di scappare… — ansimò la piccola. — Avevo paura… pensavo fosse morta…

Ray si accovacciò per guardarla negli occhi.
— Tranquilla, piccola. Dov’è adesso?

Lei indicò con la manina un gruppo di alberi radi.
— Là… in un capanno verde. Vi prego, salvatela!

Tra i rami si intravedeva davvero una costruzione malandata, inclinata come sul punto di crollare, dipinta di un verde ormai scolorito. La porta era bloccata da due catene robuste e un lucchetto arrugginito. Sembrava abbandonata, ma lo sguardo terrorizzato della bambina raccontava altro.

— Andiamo a verificare, — disse Miller alla radio. — Richiesti rinforzi e servizi sociali. Possibile emergenza con minore.

Ray si avvicinò alla porta. Il lucchetto era massiccio, fatto per tenere qualcuno fuori… o dentro.
— Non c’è tempo da perdere.

Dal bagagliaio tirarono fuori un piede di porco e una mazza. La bambina si strinse nella felpa.
— Vi prego… fate presto… Non risponde più…

Il primo colpo risuonò metallico. Il lucchetto tenne. Miller infilò il piede di porco tra i battenti; un altro colpo, più secco, e il metallo cedette. La catena cadde con un tintinnio sordo.

— Pronto? — fece Ray.
Miller annuì.

Spalancarono.

Una zaffata di aria stantia, muffa e putrefazione li colpì in pieno. Nella penombra, rischiarata appena da un raggio filtrato dal tetto, sedeva una donna legata a una sedia. Il volto tumefatto, gli occhi quasi chiusi e assenti. La bocca tappata con nastro adesivo, i polsi scorticati da corde serrate.

— Santo cielo… — sibilò Miller.

— Polizia, — disse Ray, sforzandosi di mantenere la voce ferma. — Adesso sei al sicuro.

La donna tentò di parlare, ma uscì solo un respiro spezzato.

— Ambulanza immediata! — ordinò Ray via radio.

— Sta bene?! — urlò la bambina dall’esterno.

— È viva, piccola. E l’hai salvata tu!

La piccola crollò in ginocchio, in lacrime.

Mentre Miller controllava il polso della donna, Ray perlustrò il capanno. Su un tavolo, nascosti sotto un telo cerato, trovò documenti, fotografie, un cellulare economico e una mappa con puntini rossi. Uno coincideva con la loro posizione.

— Adam, vieni a vedere.

Miller si avvicinò, impallidendo.
— Sorveglianza?

— E molto mirata, — confermò Ray. — Sono tutte case di donne sole. Madri single.

Quando arrivarono i rinforzi, la donna fu identificata: Altya Ross, 36 anni. Scomparsa da quattro giorni, senza che nessuno avesse dato davvero peso alla sua assenza.

Nel capanno saltarono fuori lettere intercettate, tracciamenti di spostamenti, foto di bambini. In una, c’era Zhania — la bambina — all’asilo.

Più tardi, in ambulanza, Altya riuscì a spiegarsi: un uomo si era finto assistente sociale per carpirle fiducia. L’aveva attirata in casa e poi, buio.

— Mia figlia… sta bene? — balbettò.

— Sì, — rispose Ray. — E se siete vive, è grazie a lei.

La notizia fece rumore. L’inchiesta federale smantellò una rete criminale che, dietro finte fondazioni benefiche, adescava donne vulnerabili. Zhania divenne il volto di quell’indagine.

Col tempo, Altya e la figlia ricominciarono lontano. Aiuti arrivarono da ogni dove. Zhania iniziò la scuola e, durante una lezione dedicata agli eroi, raccontò la sua storia tra gli applausi dei compagni.

Il giorno del sesto compleanno, Ray e Miller si presentarono con un distintivo giocattolo.

— Da grande voglio fare la poliziotta, — disse lei, sorridendo.

— Lo sei già, — rispose Ray.

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