Il mercato ribolliva come un grande alveare in pieno moto. In quel luglio infuocato, i vicoli tra le bancarelle erano un fiume di gente: ceste colme di frutta e verdura, mazzetti d’erbe, profumi d’estate che s’intrecciavano nell’aria. C’era chi contrattava con foga, chi rideva felice stringendo sacchetti pieni di pesche zuccherine e pomodori dal sentore di sole.
Andrej, poco più che trentenne, alto, con la barba corta e nello sguardo una stanchezza mite, si muoveva tra i banchi come per rito. I supermercati non gli erano mai piaciuti: li sentiva freddi, finti. Qui invece c’era il mondo vero — cetrioli con le loro piccole asperità, pomodori imperfetti e saporiti, e soprattutto il brusio familiare delle voci. Stava scegliendo pesche mature quando scorse una signora anziana davanti a un banco di verdure. Era minuta, quasi inghiottita dal turbinio di colori; indossava abiti scuri, portava a tracolla una borsa consunta. I capelli grigi raccolti in uno chignon preciso. Restava immobile, piegata su una cassetta di zucchine, senza toccare nulla: guardava soltanto.
Andrej stava per tirare dritto, ma qualcosa nel suo sguardo lo trattenne. La donna sfiorò appena un pomodoro, lo rimise a posto e sospirò.
— Signora, sta cercando qualcosa? — le chiese piano, avvicinandosi.
Lei si voltò, il viso segnato ma con negli occhi una luce quieta.
— No, caro — rispose con dolcezza. — Guardo soltanto. La pensione è poca, e venire qui è come entrare in un giardino. Profuma di tempi andati.
Un sorriso timido le attraversò il volto, quasi a scusare la sua presenza discreta.
Andrej esitò, poi notò la borsa vuota.
— Cosa le piace di più? — domandò, dopo un istante.
— I pomodori — disse. — Devono essere dolci come il miele. E i cetrioli… quelli con le piccole gobbe, come quando ero bambina.
Senza aggiungere altro, Andrej si rivolse al venditore:
— Un chilo di pomodori, cetrioli, zucchine e… facciamo tre chili di patate. Carote, cipolle, aneto e prezzemolo, grazie.
La signora tentò di obiettare, ma lui la fermò con un gesto gentile.
— Sono per lei. È giusto così.
— Ma io non ho chiesto nulla…
— Lo so.
Sistemò con cura la spesa nei sacchetti e glieli porse. Lei li prese quasi tremando, come se temesse di vederli svanire. Due lacrime le scesero lente sulle guance.
— Grazie, caro. Sei buono. Oggi se ne vedono pochi così.
Andrej accennò un sorriso.
— Forse non siamo pochi: molti si vergognano a essere gentili.
Si allontanò, ma il pensiero di lei lo accompagnò tutta la sera. «Guardo soltanto», continuava a risuonare come un richiamo dolce.
Il giorno dopo tornò al mercato e la cercò tra la folla. La trovò davanti a un altro banco, assorta sulle albicocche.
— Buongiorno — disse avvicinandosi.
Lei si voltò, lo riconobbe e sorrise, stavolta apertamente.
— Sei di nuovo qui? — esclamò sorpresa. — Ieri ho fatto una zuppa, proprio come una volta.
— E oggi cosa cucinerà?
— Oggi… guarderò soltanto — rispose, meno convinta.
Andrej acquistò albicocche e mele; lei non rifiutò.
Col passare delle settimane nacque un piccolo rito: martedì e sabato erano i loro giorni di mercato. Lei contemplava frutta e verdura, lui comprava qualcosa; poi si sedevano su una panchina vicino alla fontana, sorseggiavano tè e si raccontavano storie. La donna parlava di guerra, del primo televisore, di quando coltivava cetrioli nell’orto.
— Mi chiamo Nina Andrejevna — confidò un giorno.
— Io sono Andrej — rispose lui. — Quasi omonimi.
Lei lo osservò attenta.
— Non sei uno che aiuta e poi scompare. Sembri in cerca di qualcosa.
Andrej restò a pensarci.
— Forse sì. Nemmeno io so esattamente cosa. A volte sento un vuoto, come se mancasse qualcosa che va oltre l’umano.
— Ho visto tanto — disse Nina. — Generosità, avidità, indifferenza. Non conta quanta bontà possiedi, ma se nasce dal cuore. E tu dai dal cuore: non ti sei limitato a offrire, sei rimasto.
Da allora Andrej veniva anche solo per stare con lei. A volte senza comprare nulla. Portava tè, dolci, pane. Camminavano nel parco; lui leggeva ad alta voce, lei gli lavorava a maglia un paio di calze.
— Hai sempre le mani fredde, tesoro — scherzava, trattenendo un sorriso.
Un giorno disse:
— Ho un nipote lontano. Chiama di rado. Tu invece… sei una luce vicina, calda.
Lui tacque, stringendole la mano.
Passarono due mesi, l’estate declinava. Andrej capì che non sapeva più immaginare i suoi giorni senza quegli incontri.
Poi, un martedì, Nina non arrivò. Né il sabato.
Preoccupato, chiese notizie al venditore.
— Nina Andrejevna? L’hanno portata in ospedale — spiegò una vicina. — Pare il cuore.
Andrej trovò l’indirizzo e si presentò lì. Entrò nella stanza dov’era distesa, pallida e leggera come un’ombra. Ma appena lo vide, gli occhi le si illuminarono.
— Sapevo che saresti venuto.
Lui sedette accanto a lei, le prese la mano, restò in silenzio.
— Non essere triste, caro. Le cose accadono come devono. L’importante è che ci siamo incontrati, anche solo per un poco. È stata una vera gioia.
Andrej andò ogni giorno. Le leggeva dei libri, le mostrava foto del mercato: «Ecco le tue zucchine, e le pesche che ami».
Dopo una settimana, Nina se ne andò.
E lui pianse. Davvero.
Un mese più tardi Andrej tornò al mercato e lasciò accanto al banco una piccola targhetta di legno:
«Ammirare non è vietato. In memoria di Nina Andrejevna, che guardava le verdure come fossero miracoli».
Il venditore lesse e sospirò:
— Era una donna speciale. Di grande calore.
Andrej continuò a presentarsi ogni martedì e sabato. A volte restava in silenzio sulla panchina; altre comprava la spesa a chi era in difficoltà. Pagò il conto a uno sconosciuto, aiutò qualcuno a portare le borse fino al tram.
La gente notò. Qualcuno lo imitò. Al banco comparve un’altra targhetta:
«Se non puoi comprare, chiedi pure. Siamo qui per aiutarti».
Da una donna che amava fermarsi a guardare i pomodori nacque così un piccolo movimento caldo, silenzioso, ma importante.
Andrej capì di aver trovato ciò che cercava.
Non un’impresa clamorosa.
Solo umanità.
E pure se l’avessero chiamata filantropia, bontà o semplice cortesia, lui sapeva che tutto era nato da uno sguardo semplice.
Da quelle parole:
«Tesoro, guardo soltanto. La pensione è poca».
Da allora decise di non distogliere più lo sguardo.
Perché in ogni occhiata c’è un mondo intero che chiede d’essere ascoltato.