Negli ultimi tempi, a Valentina pareva che la sfortuna le camminasse accanto. Qualunque cosa facesse, sembrava voltarle le spalle. Il marito l’aveva lasciata per un’altra e lei aveva passato un mese intero a rimettersi in piedi, stordita dall’idea che una simile ferita potesse toccarle. Eppure, resistette: richiuse quel dolore in fondo al petto, perché a quell’uomo aveva creduto quanto credeva in sé stessa.
Proprio quando aveva ricominciato a guardare il mondo con un minimo di fiducia, lui ricomparve alla porta. Disse che con la nuova moglie non avevano un tetto e pretendeva l’appartamento che avevano condiviso. Fu allora che il loro figlio quattordicenne, Maksim, trovò la voce:
— Mamma, non farti calpestare. Affitteremo una casa e lui si arrangerà.
Valentina acconsentì. Non perché fosse d’accordo, ma perché non le restavano forze per un’altra battaglia. Presero in affitto un bilocale in periferia: niente di speciale, ma almeno Maksim poteva continuare ad andare a scuola con lo stesso autobus. Mezz’ora di tragitto, che lui chiamava “il tempo perfetto per un pisolino”.
Poi arrivò il colpo finale: l’azienda dove faceva la contabile da più di dieci anni fu acquisita, e il nuovo proprietario decise di azzerare l’organico. Non c’erano ancora contratti, così licenziarono tutti. Alcuni colleghi si ricollocarono in fretta, altri restarono in sospeso. Valentina non aveva il privilegio dell’attesa: c’erano l’affitto da coprire, un figlio da crescere, e la quotidianità da far andare avanti.
Per una settimana corse tra uffici e colloqui, quasi senza fiato. I posti migliori erano già andati; quelli rimasti offrivano condizioni impossibili. Alla fine si disse che avrebbe cercato anche fuori dal suo campo: niente più finezze, bisognava sopravvivere. Ma non arrivava nulla. Finché, dopo due settimane, per caso incrociò un annuncio.
Il responsabile di una stazione di servizio la squadrò dall’alto in basso.
— Avete rubato qualcosa, vero?
Valentina aggrottò la fronte.
— Perché lo dice?
— Siete stata licenziata, no?
— Sì, ma non per colpa mia. Hanno mandato via tutti quando è arrivato il nuovo proprietario con la sua squadra.
— E non temete un controllo?
— No. Vi lascio i contatti del mio ex datore di lavoro.
— Non importa. È solo curioso: una contabile con la vostra esperienza che vuole fare la benzinaia?
— In questa città il lavoro stabile è una rarità. Dove non pagano, non ha senso restare; dove pagano, i posti non si liberano.
— Già. Sappiatelo: se non reggete il ritmo o sbagliate, vi saluto subito. La paga è buona e un rimpiazzo si trova in fretta.
Valentina non replicò. Non chiese comprensione, non spiegò che quel banco non era il suo. L’orgoglio le cucì le labbra: le parole non servivano, serviva lavorare.