Clara faceva la tassista da appena due anni, eppure in quel tempo aveva già raccolto materiale sufficiente per riempire un romanzo. Aveva scarrozzato comitive barcollanti all’alba fuori dalle discoteche, mamme trafelate dirette all’aeroporto, manager profumati di whisky e rimpianti. Ogni corsa lasciava un volto, un segreto, un frammento di esistenza. Aveva imparato a cogliere i silenzi, a intuire l’umore dei clienti prima ancora che afferrassero la maniglia.
Quella notte, però, non somigliava a nessun’altra. I fari gialli del taxi tagliavano la nebbia; Clara, ormai agli sgoccioli della gravidanza, teneva il volante con dita affaticate. La schiena bruciava, il bambino nel ventre non smetteva di scalciare come in una danza impaziente. Sognava soltanto il letto, il cuscino condiviso con l’unico compagno fedele: Felix, il gatto rosso che la attendeva senza mai giudicare. Ma le rate non hanno pietà, e Clara lo sapeva.
«Ancora un paio d’ore, piccolino,» sussurrò, accarezzandosi la pancia. «Poi torniamo da Felix.»
Un calcetto, come risposta.
Sotto quella calma di facciata c’era però una ferita aperta. Qualche mese prima aveva preparato una cena speciale per suo marito, Maksim: lasagne fumanti, candele, e una scatolina d’argento con minuscole scarpette da neonato. Voleva dirgli: «Aspettiamo un bambino». Il sorriso le si gelò quando lui confessò che anche Alina, la sua segretaria, era incinta di lui. Nel giro di due settimane se n’era andato, svuotando pure il conto in comune. Clara rimase sola, pancia e bollette, a macinare turni per restare a galla.
Quella sera di pioggia, a poche settimane dal termine, accadde l’imprevisto. All’angolo di una strada deserta intravide un uomo barcollare sotto i lampioni. Vestiti strappati, capelli appiccicati d’acqua, graffi sul viso. Si teneva il petto come se stesse per cedere.
Clara esitò un istante. Avrebbe voluto tirare dritto, infilarsi nel calore di casa. Ma negli occhi di lui c’era una paura nuda che non si poteva ignorare. Frenò accanto al marciapiede.
«Sta bene? Le serve aiuto?»
Lui sobbalzò, sorpreso da tanta gentilezza. «Solo… un posto sicuro,» mormorò con voce roca.
Un rombo di motore squarciò il silenzio alle loro spalle. L’uomo impallidì, provò a correre, inciampò e cadde. Clara non ci pensò due volte: «Sali! Ti porto in ospedale!»
Lui si lasciò cadere sul sedile, ansimando. Nello specchietto, Clara vide due fari incollati al paraurti. «Non si fermeranno finché non mi avranno,» sussurrò lui.
Il taxi scivolò tra le strade lucide di pioggia. Curve prese al millimetro, incroci tagliati al volo, mani serrate sul volante. «Chi sono?» chiese Clara senza distogliere lo sguardo dalla strada.
«Gente pericolosa. La prego, più veloce.»
Li seminò infilando l’auto in un parcheggio chiuso da una sbarra, con una manovra secca. Le scappò una risata nervosa: «Due anni a reggere ubriaconi senza un euro… finalmente questo lavoro serve a qualcosa.»
L’uomo la guardò nello specchietto, notando la pancia tesa sotto la giacca. «È incinta… mi dispiace, l’ho messa in pericolo.»
Clara scosse il capo. «A volte il pericolo più grande è far finta di niente.»
Lo lasciò all’ingresso del pronto soccorso. Prima di scendere, lui le posò una mano sulla spalla: «Non può immaginare cosa ha fatto per me stanotte.»
Clara non rispose. Rientrò a casa in silenzio. Ma quelle parole le rimasero addosso.
La mattina seguente un rumore insolito la svegliò. Felix saltò giù dal letto, fisso alla finestra. Clara scostò la tenda, ancora stordita dal sonno… e restò senza fiato: sotto il suo palazzo c’erano almeno una dozzina di SUV neri, lucidati a specchio. Uomini in abiti scuri si muovevano coordinati, come guardie del corpo.
«Santo cielo… chi ho tirato fuori dai guai?»
Tre colpi alla porta. Dallo spioncino vide tre uomini: uno in completo impeccabile, uno con l’auricolare e… il terzo, incredibilmente, lo riconobbe.
Aprì con cautela. L’uomo, ora elegante, le rivolse un cenno. Il più anziano parlò per primo: «Buongiorno, signora. Sono Aleksei, responsabile della sicurezza della famiglia Arkhipov. Questo è il signor Arkhipov e, accanto a lui, suo figlio Artemij… l’uomo che lei ha salvato.»
Clara sbiancò. L’uomo che la notte prima sembrava un senza tetto era in realtà l’erede di una delle famiglie più potenti del Paese.
«Arkhipov?..» balbettò. «Non è possibile…»
«Le dobbiamo molto,» aggiunse Aleksei, inclinando il capo.
In quell’istante Clara capì una sola cosa: la sua vita stava per cambiare. E non di poco.