La luce del crepuscolo filtrava a strisce smorzate attraverso le tende di tulle quando Mikhail spalancò la porta con tale impeto da farla rimbalzare contro il muro. Anna sobbalzò, ma non staccò subito gli occhi dal portatile: stava rileggendo per l’ennesima volta il briefing di una cliente di Mosca, meticolosissima, che aveva già richiesto tre modifiche al set di gioielli per il matrimonio della figlia.
— Sei ancora incollata a quel computer? — sbottò Mikhail, scagliando la valigetta sul divano. — Meraviglioso. Speravo che almeno oggi mia moglie mi accogliesse come si deve.
— Ciao, amore — disse Anna, salvando il file e girandosi verso di lui. — Com’è andata?
— Alla grande — borbottò, slacciandosi la cravatta. — Il capo ha urlato più del solito, i clienti vogliono l’impossibile, la burocrazia blocca tutto… e indovina su chi ricade la colpa? Sulla solita persona.
Lei lo osservò: stanco, i nervi tesi, due solchi nuovi a segnargli gli occhi. Avrebbe voluto alzarsi e stringerlo, ma sul tavolo c’erano spille da finire e il telefono continuava a vibrare per i messaggi dei clienti.
— Ti preparo un tè? — propose. — Parliamo un minuto?
— Parliamo di cosa? — replicò lui, scrutando la stanza con sospetto. — Di come hai passato la giornata a giocherellare con le tue cosette mentre io mando avanti la baracca?
Il tavolo di Anna era un caos ordinato: ritagli di seta, rocchetti di filo, scatole di perle e di bottoni d’epoca, tre spille quasi pronte che i clienti aspettavano con impazienza. Come spiegargli che per lei non era un passatempo?
— Ho lavorato, Misha.
— Lavorato? — si sedette sul bordo del divano, le scarpe ancora ai piedi. — Si chiama lavoro quando ti alzi alle sette, affronti il traffico, passi otto ore a risolvere problemi e ti prendi responsabilità vere. Non quando stai in pantofole a fare la creativa.
— Non sto giocando…
— Ah no? E questo cos’è? — indicò il tavolo. — Un hobby da ragazzine? Terapia per casalinghe?
Una fitta amara le attraversò il petto. Se sapesse quante ore ci aveva messo a cercare quei materiali, a rifare schizzi, a sistemare ogni dettaglio.
— È un lavoro serio, richiede abilità e tempo.
— Lavoro serio… — rise secco. — Trovatene uno vero, da dipendente. Io ho bisogno di una compagna, non di una casalinga che gioca con le cianfrusaglie.
— E cosa ci sarebbe di male nello stare a casa?
— Il male è che mi sento l’unico adulto qui! L’unico che pensa alle spese, al futuro!
Anna, in silenzio, raccolse qualche perla. Le tornarono in mente i 32 mila rubli del mutuo da pagare l’indomani, la rata dell’auto in arrivo, il salmone costoso che a Mikhail piaceva tanto e che giaceva quasi finito in frigo.
— Sai cosa immaginavo tornando? — riprese lui. — Di trovare mia moglie pronta ad ascoltarmi. E invece ti trovo incollata allo schermo, senza neanche un sorriso.
— Scusa, avevo un ordine urgente…
— Urgente? — le si piazzò davanti. — Chi comprerebbe… queste? — fece un gesto sprezzante.
— I clienti — mormorò Anna. — Più di quanti pensi.
— Ah sì? E quanto tiri su con tutto questo? Mille al mese? Due? Ti bastano per comprare il filo?
Anna abbassò lo sguardo. Il mese prima aveva fatturato 114 mila rubli, quasi il doppio dello stipendio di Mikhail. I suoi pezzi viaggiavano da Mosca a San Pietroburgo, fino a Ekaterinburg. Come dirglielo?
— Più di quanto credi.
— Più di quanto credo… — rise nervoso. — Secondo me fai zero. I tuoi hobby valgono quanto il latte annacquato.
— Non capisci, Misha…
— Non c’è niente da capire! Oggi Sergey diceva che sua moglie ha preso un diploma, fa la designer in ufficio, lavorano entrambi, si comprano un appartamento più grande, faranno figli.
— E noi non potremmo?
— Con cosa, col mio stipendio? Il mutuo è trentamila, la macchina diciottomila, bollette sette, cibo, benzina, i tuoi cosmetici…
Anna ascoltava in silenzio. Lui non sapeva chi coprisse davvero la maggior parte delle spese: con il suo stipendio, a malapena ci si pagavano bollette e generi base.
— …e tutto con un solo stipendio! — concluse. — Ti sembra facile?
— So che sei stanco — disse lei piano.
— Appunto! E tu stai lì con i tuoi giocattoli.
— Non li considero tali.
— Ah no? E allora da dove pensi che arrivino casa, tecnologia, cibo?
Anna tacque. Quasi tutto ciò che lui elencava era stato pagato coi suoi guadagni: arredi, elettrodomestici, le prelibatezze che a lui piacevano.
— Vedi? — fece Mikhail, soddisfatto del silenzio. — Almeno sei parsimoniosa, così tiriamo avanti.
Anna sorrise appena. Parsimoniosa… se solo sapesse quanto aveva investito in seta italiana, perle e materiali vintage, ripagati fino all’ultimo centesimo.
— Senti, Anna — si sedette rigido. — Io non voglio più essere l’unico sostegno. Voglio una partner vera.
— E cosa proponi?
— Che ti dai una mossa e ti trovi un lavoro “vero”. Ufficio, colleghi, stipendio fisso. Alla pari.
— E se non volessi?
— Non vuoi? Allora? Vuoi restare con i tuoi lavoretti?
— Voglio fare ciò in cui sono brava.
— Brava? Hai trentatré anni, non sei più una ragazzina che scarabocchia.
Le guance di Anna bruciarono.
— È un lavoro, Misha.
— Davvero? Fammi vedere documenti, tasse.
— Sono una lavoratrice autonoma.
— Autonoma? — scoppiò a ridere. — Hai davvero registrato i tuoi giochini?
— È un’attività a tutti gli effetti.
— Attività? — afferrò una spilla incompiuta. — E questa chi la compra? E a quanto?
Anna lo guardò maneggiare la spilla destinata a Mosca, prezzo 14 mila rubli, tre giorni di lavoro finissimo.
— Più di quanto credi.
— Quanto?
— Qualche migliaio.
— Migliaia per una spilla? Sei matta. Nessuno paga un pezzo di stoffa e bottoni.
— Pagano l’unicità.
— Basta sognare. Domani ti cerchi un lavoro serio.
— E se non volessi?
Si immobilizzò, fissandola.
— Allora dovrò rivedere tutto. Non porto avanti la famiglia da solo. Mi serve una partner, non una dipendente.
— Non sono una dipendente.
— Ah no? E chi paga casa, auto, spesa?
— Tu — rispose a bassa voce. Sulla carta era vero; i soldi, però, arrivavano per lo più dal suo conto.
— Esatto. E sono allo stremo.
La mattina dopo, tutto cambiò.
Mikhail, mentre si vestiva, urtò il tablet di Anna. Lo schermo si accese con una notifica: «Fondi ricevuti: 22.000 ₽».
Rimase di sasso. Da dove arrivavano?
Digitò la solita password “1234” — Anna e la sua leggerezza con la sicurezza — e aprì l’app bancaria: saldo 184.000 rubli.
— Che…? — mormorò.
Scorse i movimenti: accrediti da marketplace e clienti privati, pagamenti da Ozon, Wildberries, Etsy. E un bonifico di 8.900 dollari con causale “Etsy”.
— Anna! — la chiamò con la voce che tremava. Lei comparve con una tazza.
— Che succede?
— Questo… cos’è?
Anna arrossì. — Il mio negozio online. Non avresti dovuto vedere.
— Non avrei dovuto vedere? Siamo sposati! Da dove viene tutto?
— Dagli ordini.
— Ordini? Qui ci sono quasi duecentomila rubli! Per cosa? Per le tue spille?
— Non solo spille. Vieni, ti spiego.
— Spiega qui!
Anna sospirò. — Lavoro davvero, Misha. Ho clienti fissi e richieste anche dall’estero.
— Dall’estero?
— Piattaforme online. Etsy, per esempio — gli fece scorrere foto professionali e recensioni a cinque stelle.
— È un negozio… vero.
— Sì. E non solo quello.
— Quanto guadagni?
— Dipende: in media 70–80 mila al mese.
— E nei mesi buoni?
— Oltre i centomila. A dicembre ho fatto 120 mila.
Mikhail si lasciò cadere sul letto, lo sguardo svuotato.
— Quindi guadagni più di me?
— Sembra di sì.
— E quegli 8.900 dollari?
— Una collezione personalizzata per un matrimonio negli Stati Uniti. Un mese di lavoro.
— E le spese di casa? Mutuo, prestiti…
— Li copro quasi tutti io — ammise. — Con il tuo stipendio pagheremmo giusto bollette e spesa.
— Solo le bollette… Quindi… abbiamo vissuto grazie a te?
— Abbiamo vissuto insieme. Siamo una famiglia.
— Perché non me l’hai detto?
— Eri orgoglioso del tuo ruolo. Non volevo ferirti.
Mikhail si coprì il volto. Le frasi della sera prima gli rimbombarono addosso come sassi.
— Che idiota — sussurrò.
— Non lo sei — disse Anna abbracciandolo. — Semplicemente non sapevi.
— Avrei dovuto saperlo. Sono tuo marito.
— Ti interessavi, ma vedevi tutto come un hobby.
— Un hobby… — amaramente. — Che rende più del mio “lavoro serio”.
— Non è una gara a chi guadagna di più.
— Allora cos’è? — alzò lo sguardo.
— È rispetto — rispose lei piano.
— Ieri ti ho detto cose terribili… Ti ho chiamata casalinga, dipendente…
— Non sapevi.
— Ora so. Come ti guardo negli occhi?
— Come hai sempre fatto. Siamo noi due. È cambiato qualcosa?
— Sì — ammise. — È cambiato tutto.
— Vuoi vedere il laboratorio? Ti racconto degli ordini.
Lui annuì, disarmato e più tenero. — Voglio conoscere la donna che ho avuto accanto e che non ho saputo vedere.
Si avvicinarono alla scrivania. Per la prima volta, Mikhail guardò davvero il mondo di Anna — quel mondo che aveva liquidato come un gioco — e capì che lì dentro c’era il loro futuro.
