Anja non riusciva a spiegarsi perché quell’uomo dovesse vivere con loro. Aveva sempre sognato che sua madre trovasse la serenità sposandosi, ma non certo con Arturo. Seduta sul divano, faceva finta di leggere un libro, mentre i suoi occhi spiavano di nascosto i movimenti di lui. Era appena uscito dalla camera e si aggirava per casa con una calma che sembrava ostentata, ignorandola del tutto. Continuava a parlare al telefono, e dalle frasi che Anja riusciva a captare non stava certo parlando con un uomo. Era come se la bambina fosse troppo piccola per capire, e per questo lui non provava nemmeno vergogna.
«Tesoro, ma come puoi dire una cosa del genere? Tra due settimane mi sposo e tu tenti di sedurre un uomo già impegnato?» rideva, continuando a conversare.
Anja provò un moto di disgusto che le serrò lo stomaco: non solo l’antipatia che già provava per quell’uomo, ma una rabbia feroce al pensiero che stesse tradendo sua madre senza scrupoli.
Con gesto deciso richiuse il libro. Arturo le lanciò un’occhiata, poi si rifugiò in camera e chiuse la porta a chiave. Decisa a sfogarsi con qualcuno, Anja uscì correndo e raggiunse le baracche dietro le siepi di tuia che dividevano il quartiere elegante dalla zona povera.
Se Alla Olegovna avesse saputo che sua figlia frequentava quel posto, le si sarebbe spezzato il cuore. Ma Anja conosceva bene i suoi rifugi. Fischiò forte e, come previsto, dal buco nel muro spuntò la testa spettinata di Piet’ka.
— Anja, entra pure. I miei sono dalla nonna.
Lei scavalcò la finestra, più semplice della porta, e lo trovò curvo sui quaderni.
— E tu perché sei rimasto qui?
— Ho preso un brutto voto in inglese. Se non studio, mio padre mi sculaccia — disse grattandosi la testa.
Anja rise: conosceva bene quell’uomo grande e barbuto, bonario più che severo, temuto e amato da tutti i bambini.
— Ma non dovevamo vederci domani sera?
— Piet’, ho bisogno di un consiglio.
Per lei, a dodici anni, Piet’ka che ne aveva quattordici era quasi un fratello maggiore. Gli raccontò di Arturo, delle telefonate, e del fatto che sua madre non volesse aprire gli occhi.
— E allora parlagliene — disse lui. — Ti ascolterà.
Ma non fu così. Quando, quella sera, Alla tornò dal lavoro, Anja provò a confidarsi. La madre, però, si chiuse: «Sei troppo piccola per capire. Non intrometterti». Quelle parole ferirono più di uno schiaffo.
Le cose peggiorarono: Arturo rientrava ubriaco, urlava contro la madre, e lei finiva per scusarsi con lui. Anja non ne poteva più.
Fu allora che Piet’ka propose un piano. Il matrimonio si avvicinava, e Arturo si era già organizzato: Anja lo sentì dire al telefono alla sua amante di fingersi la fidanzata di un vecchio amico per poterla portare alle nozze.
Il giorno del matrimonio arrivò. Un ristorante elegante, tavoli imbanditi, sorrisi falsi. Anja tremava: e se tutto fosse stato inutile? Quando fu chiamata a parlare, prese il microfono e disse:
— Mamma, ti voglio bene e voglio che tu sia felice.
Poi sullo schermo iniziò il video preparato con Piet’ka: Arturo che baciava un’altra donna, scene di bar e risate volgari. Il silenzio cadde in sala, Alla sbiancò, Arturo si nascose sotto il tavolo.
— Perdona, mamma, ma tu non volevi ascoltarmi. Lui non ti ama — disse Anja, lasciando il microfono.
Scappò via, in lacrime, fino al fiume dove Piet’ka la raggiunse. Lei singhiozzava: «Che ho fatto?».
— Hai fatto la cosa giusta. Forse non elegante, ma hai difeso tua madre — le rispose.
Rimasero seduti sulla riva finché non arrivò Alla. Si sedette accanto a loro, abbracciò la figlia e le sussurrò: «Perdonami tu. Ho inseguito una felicità che non esisteva».
Quella notte nacque un nuovo inizio: non c’erano più menzogne, né segreti. Solo madre e figlia, unite, e un amico fedele che restava al loro fianco.