«Un giorno mi imbattei in un corvo ferito e lo presi con me per salvarlo. Ma ciò che accadde un mese dopo fu talmente incredibile che nessuno avrebbe avuto il coraggio di raccontarlo ad alta voce.»

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Era una sera d’autunno, la pioggia scendeva fitta e il cielo era una lastra bassa di nuvole grigie. Tornavo a casa sfinito, con l’ombrello che non bastava a ripararmi dal vento. In mezzo al rimbombo dell’acqua e al brusio del traffico, all’improvviso, un grido diverso da tutti gli altri: acuto, disperato, come una richiesta d’aiuto.

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Mi fermai. Seguendo quel suono, avanzai piano verso il parco giochi; proveniva da un cespuglio, vicino alla recinzione. Lì, fradicio e tremante, c’era un corvo. Un’ala pendeva in modo innaturale. Mi colpirono i suoi occhi: vivi, lucidi di dolore ma non spenti, come se si aggrappassero a una possibilità.

«Sei messo male, eh?» mormorai, più a me stesso che a lui.

Senza pensarci troppo, mi tolsi la giacca e lo avvolsi con delicatezza. Mentre fuori l’acqua scrosciava, dentro di me si accese un calore inatteso: avevo la sensazione che quell’incontro non fosse capitato per caso.

A casa gli preparai un rifugio improvvisato: una coperta morbida, una borsa dell’acqua calda, una ciotola d’acqua, qualche pezzetto di carne. Lo chiamai Arax. Becchettava piano, ma con ostinazione. Cercai informazioni su come assistere un uccello ferito: riposo, immobilizzare l’ala, e — se necessario — un veterinario.

Dopo due giorni lo portai in ambulatorio: l’ala era fratturata, ma con cure e tempo sarebbe guarita. Da lì iniziò una routine nuova: pulizie, pasti misurati, tentativi di gioco, la sua curiosità inesauribile che lo portava a esplorare ogni angolo.

Arax si affezionò in fretta. Restava accanto a me durante i film, mi richiamava con gracchi insistenti quando aveva fame. A poco a poco riprese forza; l’ala si saldò, i primi svolazzi in salotto, poi le prove sul balcone. Vedevo in lui la voglia di andarsene, ma ogni volta che aprivo la finestra tornava indietro: non era ancora il momento.

Finché una mattina la gabbia era vuota. Mi si ghiacciò il sangue. Poi, il suo richiamo, familiare, alla finestra: Arax sul davanzale, dritto e fiero.

«Bravo, ragazzo» sussurrai.

Gracchiò, e volò via.

Pensai fosse un saluto definitivo, ma il giorno dopo, sul davanzale, trovai qualcosa che scintillava: un braccialetto d’oro. Rimasi interdetto. Lì, esattamente dove Arax si appoggiava di solito.

Sapevo che i corvi sono tra gli uccelli più intelligenti: ricordano i volti, risolvono problemi. Ma portare gioielli? Sconvolgente. Eppure Arax tornò ancora, ogni volta con un dono: orecchini, anelli, catenine. Alcuni modesti, altri di valore. Posai una scatolina sul davanzale per raccoglierli.

Mi domandai da dove arrivassero. Forse li trovava tra grondaie e tetti, o nei giardini. Sentivo però che c’era dell’altro, qualcosa che le sole spiegazioni pratiche non esaurivano.

Mi venne in mente una leggenda: i corvi come messaggeri del destino. Nella mitologia nordica, Odino ne aveva due per conoscere il mondo. In molte culture rappresentano saggezza e passaggi tra mondi. Forse Arax, a modo suo, stava dicendo grazie.

Lessi che i corvidi possono mostrare gratitudine, portando “regali” a chi li ha aiutati. Non era fantasia: era documentato. Tra me e lui era nato un legame difficile da tradurre in parole.

Dopo qualche mese decisi di raccontare la nostra storia: filmavo il suo arrivo, i piccoli riti, i doni lasciati sulla finestra. Non pensavo potesse emozionare qualcuno, invece esplose: il canale crebbe, migliaia di persone si iscrissero, realizzai brevi documentari. Ornitologi commentavano i comportamenti di Arax, psicologi spiegavano perché quella vicenda toccasse così tanti.

Eppure la gioia più grande era una sola: vederlo tornare.

Arax compare ancora oggi alla finestra: a volte lascia un luccichio nella scatolina, altre si limita a un saluto rauco prima di riprendere quota. Non so quanto durerà. So che ogni volta che vedo il suo profilo scuro stagliarsi contro il tramonto, mi sento grato.

Quell’incontro mi ha insegnato che anche nei giorni più ordinari può affacciarsi un piccolo miracolo; che cura e gentilezza ritornano, magari per vie impensate. E che, a volte, per cambiare una vita basta allungare la mano verso chi ne ha bisogno.

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