«Abbiamo accolto in affido una bambina di appena quattro anni, ma dopo solo un mese mia moglie ha deciso di riportarla indietro.»

0
75

La prima volta che vidi Sophie, mi corse incontro senza esitazione e si rifugiò tra le mie braccia.

Advertisements

Era minuscola, con due grandi occhi color nocciola che brillavano di luce viva e una cascata di ricci ribelli che sapevano di shampoo infantile e d’erba fresca. Mi si strinse addosso con la naturalezza di chi ha già deciso, senza bisogno di parole, che lì avrebbe trovato il suo porto sicuro.

Io e Claire avevamo alle spalle anni di tentativi falliti: gravidanze interrotte, ospedali, attese logoranti. Alla fine scegliemmo la strada dell’adozione, che si rivelò una prova altrettanto dura — mesi di carte, colloqui, speranze sospese. Poi, all’improvviso, eccoci lì: in un ufficio grigio, davanti a un’assistente sociale, con Sophie rannicchiata sulle mie ginocchia.

«Siete sicuri di voler intraprendere questo percorso?» domandò Karen, stringendo la cartella contro di sé.

Sophie, distratta, giocherellava con la mia fede, canticchiando piano. Claire mi prese la mano, con una fermezza che sapeva di promessa.

«Sì,» rispose senza esitazione. «Lei è la nostra bambina.»

Karen annuì, seppure con quello sguardo velato di chi ha visto troppe volte famiglie partire entusiaste e poi arrendersi.

«L’amore non basta,» ci avvertì. «Ci saranno sfide, momenti duri. Sophie ha sofferto, e metterà alla prova la vostra forza. Siete pronti davvero?»

«È un dono,» replicò Claire con un sorriso lieve.

E in quell’istante Karen dichiarò: «Bene. Congratulazioni, da oggi siete genitori.»

Dentro di me si accese una fiamma: la nostra nuova vita aveva finalmente inizio.

Ma già sulla soglia di casa un brivido di inquietudine mi attraversò.

Sophie si accasciò ai miei piedi, abbracciandomi le gambe come se temesse di svanire.

«Papà, non voglio andare via,» sussurrò con un filo di voce.

Mi chinai, le scostai un ricciolo dal viso. «Andare via dove, piccola mia?»

I suoi occhi si riempirono di lacrime. «Non voglio che mi mandiate via. Voglio restare con te e la mamma.»

Un nodo mi serrò lo stomaco. Chi poteva averle messo in testa un pensiero simile?

La strinsi piano. «Nessuno ti manderà via, tesoro. Questa è la tua casa.»

Proprio in quel momento comparve Claire nel corridoio. Il volto teso, le braccia conserte, lo sguardo velato da un’ombra.

«Simon,» disse fredda, «dobbiamo parlare.»

Sophie si aggrappò alla mia camicia, terrorizzata.

«Perché le hai detto che se ne deve andare?» chiesi, spiazzato.

Claire serrò le labbra. «Mandala in camera.»

Le accarezzai il viso e le bisbigliai: «Vai a giocare, tesoro, torno subito.»

Lei esitò, poi si allontanò con passo incerto. Non appena la porta si chiuse, Claire lasciò cadere le parole come pietre.

«Dobbiamo restituirla.»

Rimasi senza fiato. «Come puoi dire una cosa simile?»

«Non ce la faccio più,» rispose, stringendosi le braccia al petto. «Distrugge tutto ciò che tocca. Ha macchiato persino il mio abito da sposa con le mani piene di vernice.»

Provai a spiegare, a giustificarla: era solo una bambina curiosa, non aveva cattiveria. Ma Claire scosse la testa, furiosa.

«Non capisci? È manipolatrice. Vuole portarti via da me.»

Quelle parole mi trafissero. La donna che aveva tanto desiderato quell’adozione ora vedeva Sophie come un nemico.

«Non posso permettere che la vita di quella bambina venga spezzata ancora,» dissi con voce ferma. «Lei è mia figlia.»

«Allora scegli,» ribatté lei. «O io, o lei.»

In quel momento capii che il nostro matrimonio era finito.

Claire se ne andò quella sera stessa. Tre settimane dopo mi ritrovai davanti a lei, in un ufficio di mediazione.

«Ho sbagliato,» ammise, piangendo. «Ero travolta dalla paura. Ma ora voglio rimediare.»

Abbassai lo sguardo. «Non hai abbandonato solo me, Claire. Hai abbandonato lei.»

Cercò di giustificarsi, ma le sue scuse non cancellavano le notti in cui Sophie si era svegliata chiamandola, convinta di aver fatto qualcosa di terribile.

«Non ti permetterò di ferirla ancora,» conclusi.

La mediatrice annuì, registrando le mie parole.

Claire singhiozzò. «Ti amo ancora, Simon.»

La guardai negli occhi, implacabile. «Io non ti amo più.»

È passato un anno. Sophie salta ancora al minimo rumore improvviso, e a volte indugia prima di chiamarmi “papà”, come se quella parola fosse fragile. Ma sorride di più, impara ogni giorno che l’amore non abbandona.

Quella sera, mentre la mettevo a letto, intrecciò le sue dita alle mie.

«Non mi lascerai mai, vero?» mormorò.

«Mai,» le promisi, baciandola sulla fronte.

Lei chiuse gli occhi, finalmente serena.

Era a casa. Per sempre.

Advertisements