“Il marito è andato via con la ragazza più giovane. Quando è tornato a recuperare i suoi effetti personali, l’appartamento gli sembrava irriconoscibile.”

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«Larisa, ma sei impazzita? Cosa stai combinando?»
Nina, sua vicina e amica, rimase senza parole sulla soglia della porta, lo sguardo attonito. Dentro l’appartamento regnava un disordine totale: mobili spostati contro le pareti, giornali sparsi sul pavimento, l’aria intrisa di odore di vernice fresca. Larisa, con una vecchia tuta e un foulard legato in testa, maneggiava il rullo con energia, dipingendo il muro.

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«E che c’è di tanto speciale?» disse, asciugandosi una ciocca di capelli dalla fronte con il dorso della mano.
«Adesso, dopo tutto quello che è successo?» replicò Nina incredula.

«E quando, se non ora?» rispose Larisa, riprendendo il rullo. «Sai, come canta quella canzone: “Sono libera come un uccello in volo”!»

Nina scosse la testa. Era passato un mese da quando Sergej l’aveva lasciata per la sua giovane contabile, e Larisa era stata chiusa in casa soltanto per due settimane. Ora però tutto stava cambiando.
«Forse dovresti rallentare un po’, riposarti, riflettere…» suggerì Nina.

«Ho riflettuto per venticinque anni, Nina mia,» rispose Larisa scendendo dalla scala. «Sai cosa ho capito? Ho vissuto per tutti, per lui: “Così Sergej sta meglio”, “Per farlo felice”. Ma ora basta! Da questo momento in poi sarà come VOGLIO IO!»

Guardò intorno a sé con un sorriso deciso:
«Ti ricordi quelle carte da parati? Le avevamo scelte insieme: “Sergej, ti piace questo colore? O questo? O magari a righe?”» imitò con sarcasmo il tono sottomesso di lui. «E io invece ho sempre sognato il turchese. Ecco, sarà turchese!»

Nina si sedette sull’unica sedia libera.
«E lui lo sa?»
«Sa cosa?» rise Larisa. «Che ho iniziato i lavori? Certo che no. È troppo impegnato a costruire la sua nuova storia con quella… come si chiamava… Aļënočka.»

Pronunciò il nome con tale disprezzo da far rabbrividire Nina.
«Ma tu dicevi che non aveva nemmeno preso le sue cose!»
«Esatto!» rise Larisa. «Verrà a prenderle, e intanto qui tutto sarà cambiato. Non resterà traccia di lui nella mia vita.»

Si avvicinò alla finestra, dove il crepuscolo estivo stava calando.
«All’inizio pensavo fosse la fine. Come vivere senza di lui, dopo venticinque anni? Tutta la mia vita ruotava intorno a lui. Poi ho capito: cosa mi ha dato, se non umiliazioni? Sempre insoddisfatto, sempre scontento.»

Nina restò in silenzio. Aveva visto da tempo come Sergej trattava Larisa, ma lei trovava sempre una scusa: stress, problemi al lavoro, cattivo umore.

«Ora invece,» continuò Larisa, «mi sento rinata. E sai una cosa? Sono persino grata a quella Aļënočka! Mi ha liberata, come da un incantesimo.»

Tornò a dipingere il muro:
«Guarda qui: a Sergej piacevano quelle carte da parati, vero? Ebbene, è finita.»

Nina vide l’appartamento trasformarsi nel corso della settimana: non era solo una rinfrescata alle pareti, ma la rinascita di una vita, passo dopo passo, come uno strato di pittura.

Il vecchio divano, tanto amato da Sergej, era stato buttato via. Al suo posto un elegante divanetto turchese, proprio come aveva sempre desiderato Larisa.
Le pesanti tende marroni — «A cosa servono quegli orpelli? Basta bloccare la luce!» — lasciarono spazio a leggere tende color mare.
E gli effetti di Sergej — completi, camicie, cravatte — erano stati raccolti in sacchi della spazzatura: ogni oggetto un ricordo doloroso, ma Larisa procedeva decisa.

«Qui Sergej amava sedersi a guardare la TV. E lì teneva sempre gli stivaletti. E quella tazza, la sua preferita…» diceva mentre eliminava ogni traccia di lui, pagina dopo pagina.

Quando arrivò il giorno stabilito e il campanello suonò, l’appartamento era completamente cambiato: luminoso, spazioso, punteggiato di turchese, respirava freschezza e nuova vita.

Larisa aprì la porta. In piedi sulla soglia c’erano Sergej — familiare eppure estraneo — e accanto a lui la giovane bionda, la famigerata Aļënočka.

«Buongiorno,» disse lui con voce brusca. «Siamo qui a prendere le nostre cose.»

Larisa si fece da parte, divertita dal cambiamento sul volto di lui, gli occhi spalancati.
«Che succede?» chiese lui, guardandosi intorno senza riconoscere più l’appartamento dove aveva vissuto venticinque anni.
«Sono lavori di ristrutturazione,» rispose lei con calma. «Era ora.»
«E i miei oggetti?»
«Ah,» fece lei indicando la scala con un gesto, «sono lì, nei sacchi. Li ho sistemati bene. Prendeteli come volete.»

Aļënočka fece una smorfia:
«Come? Nei sacchi? Sergej, dicevi di avere vestiti firmati, roba di valore…»
«Esatto!» esclamò lui, perdendo sicurezza. «Cosa stai facendo? Sono vestiti da…»
«Di chi sono?» lo interruppe Larisa. «Non m’interessa. Li ho messi lì, potete controllare. Dove conservarli è un vostro problema.»
«Ma come hai potuto?» esclamò lui incredulo, nel suo sguardo si leggeva però una nuova forza, una dignità ritrovata.
«Posso farlo, Sergej,» rispose lei sorridendo. «Solo che prima non te ne eri mai accorto. Ora scusate, ho altro da fare.»

Passò oltre e chiuse la porta.
Dal pianerottolo arrivò la voce indignata di Aļënočka:
«Tesoro, come è possibile? Sono le tue cose!»
«La vita è fatta anche di delusioni,» mormorò Larisa a bassa voce, chiudendo la porta.

Era una splendida giornata di primavera. Il sole brillava come a celebrare la sua liberazione. Larisa inspirò profondamente e si accorse di sorridere.

Quella sera arrivò Nina.
«Allora, come va?» chiese.
Larisa versò il tè profumato nelle tazze con cura.
«Pensavo che sarebbe stato doloroso. Immaginavo di rivederlo e sentire di nuovo quel dolore. Ma invece… è stato un vuoto. Come se quei venticinque anni non fossero mai esistiti.»
«E lui, cosa ha detto?»
«Lui?» rise lei. «Si è offeso, soprattutto quando la sua giovane amante ha visto quei sacchi con i vestiti! Ma sai qual è la cosa più incredibile? Guardavo quegli abiti e pensavo: “Davvero era quell’idiota l’amore della mia vita? Quel narcisista che, anche in quei momenti, pensava solo ai suoi vestiti?”»

Prese un sorso di tè:
«Come dice il proverbio, “Non c’è gioia senza dolore”. Se non fosse stato per il suo tradimento, sarei rimasta un’ombra, un accessorio del “grande uomo”. Invece,» disse indicando la stanza rinnovata, «ora vivo per me stessa.»

«E adesso?» sorrise Nina.
«Sai,» rifletté Larisa, «ho capito che posso fare qualsiasi cosa. Qualunque cosa desideri. Se voglio dipingere i muri di turchese, lo farò. Se voglio iscrivermi a un corso di danza, lo farò. Anzi,» strizzò l’occhio con malizia, «mi sono già iscritta! E anche a un corso di pasticceria.»
«Davvero?» esclamò Nina, quasi strozzandosi con il tè. «Dicevi che a quell’età non era roba per te.»
«E invece ho deciso: perché no? Ho cinquantatré anni, non centotrè. La vita è appena cominciata!»

Larisa si avvicinò alla finestra e si vide riflessa: più snella, più giovane, con uno scintillio negli occhi.
«Sai cosa ho capito, Nina? La felicità non sta nell’essere accanto a qualcuno. Sta nell’essere se stessi. Per anni non sapevo nemmeno chi fossi. Un’ombra? Un semplice riflesso? “La moglie di Sergej Petrovic”?»

Prese un vecchio taccuino dal armadio, logoro dal tempo:
«Ora ho deciso di seguire la mia lista di sogni, uno per uno. Prima la danza, poi la fotografia. E quest’estate partirò per San Pietroburgo — ho sempre desiderato vedere le notti bianche.»
«Da sola?» Nina spalancò gli occhi.
«Perché no?» rispose Larisa con un sorriso. «Non ho più paura della solitudine. Sai, la solitudine non è l’assenza di persone. È quando, pur essendoci, ti senti solo. Proprio quello che provavo con Sergej — marito, routine, ma senza anima. Un vuoto.»

Versò altro tè:
«Ora mi sento viva, capisci? Come se fossi appena uscita da un lungo sonno.»

Mentre il crepuscolo calava, la nuova lampada — ovviamente con paralume turchese — diffondeva una luce dolce e calda. Larisa si accomodò nella sua poltrona preferita — piccola, comoda, comprata nonostante tutte le proteste di Sergej («Perché un’altra poltrona? Dove la vuoi mettere?»).

«Sai qual è la cosa più sorprendente?» disse guardandosi le mani sporche di farina. «Non penso più a lui. Per niente, immagina!»
«Forse è troppo presto?» chiese Nina cauta.
«No,» rispose Larisa scuotendo la testa. «Non è questione di tempo. Ho solo visto la verità, come se avessi indossato degli occhiali e il mondo fosse diventato nitido. Non amavo lui, ma l’immagine di un uomo ideale che avevo creato, cercando di adattare Sergej a quell’idea. Ma lui era semplicemente se stesso: egoista, narcisista, convinto che fossi cosa dovuta.»

«Sai,» concluse Nina finendo il tè, «ti invidio.»
«Di cosa?» si stupì Larisa. «Perché tuo marito ti ha lasciata?»
«No,» rispose Nina. «Perché tu hai saputo ricominciare senza spezzarti, senza arrenderti. Io non so se ce la farei.»
«Puoi farcela,» disse Larisa con convinzione. «Ogni donna può. Fin da piccole ci insegnano che siamo incomplete senza un uomo, che dobbiamo sopportare, perdonare, adattarci. Ma la verità è che bisogna vivere. Vivere la propria vita, non quella degli altri.»

Prese una bottiglia di vino dall’armadio:
«Brindiamo a una vita nuova!»

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