Quando la sua ex compagna di classe la vide entrare nel ristorante, ad Alina venne incontro solo uno sguardo carico di disprezzo: l’altra ebbe quasi l’istinto di sputarle in faccia, senza neppure sospettare chi fosse diventata davvero la donna che aveva davanti…

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Nel silenzio ovattato di un ristorante elegante, rischiarato da piccole candele e profumato di burro fuso e vaniglia, la serata sembrava scorrere senza sorprese. Seduta a un tavolo d’angolo, Alina si godeva un raro lusso: un po’ di calma. Il telefono capovolto, il tablet spento, solo un calice di vino e il mormorio discreto dei clienti intorno. Per una volta, la proprietaria della celebre catena di locali di lusso si concedeva il ruolo di semplice ospite.

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Fu allora che il passato le passò davanti, in carne e ossa.

Tra i tavoli comparve una donna sui quarant’anni, ben vestita, passo deciso, sguardo vagamente altezzoso. Alina la riconobbe all’istante: la vecchia compagna di classe, quella che a scuola non perdeva occasione per una battuta pungente, una risatina maligna, un commento gratuito. L’altra, invece, non la riconobbe affatto. La guardò come si guarda una perfetta sconosciuta… e decise che era il bersaglio ideale.

Si avvicinò al tavolo di Alina con un sorrisetto di sufficienza.

— Ma senti, — disse inclinando la testa — non pensavo di trovarti in un posto del genere. Come fai a permettertelo? Di solito questi ristoranti non sono proprio per tutte.

Alina non si irrigidì, non arrossì, non si difese. Un lampo ironico le sfiorò lo sguardo, ma restò composta.

— Siediti, se ti va — disse soltanto, indicando la sedia di fronte a sé.

L’ex compagna, convinta di avere il controllo della situazione, accettò con naturalezza, ancora convinta di avere davanti qualcuno su cui poter scherzare dall’alto del proprio giudizio. Non sapeva di essersi appena seduta al tavolo della padrona di casa.

Alina incrociò le mani sul tavolo e, con voce tranquilla, rispose alla provocazione:

— Me lo permetto grazie a parecchi anni di lavoro duro, a tante notti in bianco e al fatto che, anche quando nessuno ci credeva, io ho continuato a credere in me stessa. Ho sempre sognato un ristorante… oggi ne ho diversi. Questo è uno dei miei locali. Benvenuta, sei mia ospite.

La frase rimase sospesa nell’aria per qualche secondo, come un colpo secco. L’espressione dell’altra cambiò di colpo: il sorriso sicuro si incrinò, gli occhi si allargarono, le guance si colorarono. Aveva appena cercato di ridicolizzare la proprietaria del ristorante.

— Oh… non lo sapevo… — balbettò, visibilmente a disagio. — È… davvero bellissimo, complimenti.

Alina annuì, senza compiacimento, e fece un cenno al cameriere.

— Porta il nostro dolce migliore, per favore, — disse. — Una tart al cioccolato con salsa di lamponi.

Non c’era vendetta in quel gesto, solo una gentilezza ferma, di quelle che non hanno bisogno di dimostrare niente. L’atmosfera, che un istante prima rischiava di diventare pesante, cominciò a sciogliersi.

Mentre affondava il cucchiaino nel dessert lucido e profumato, l’ex compagna non riusciva a smettere di guardare Alina. Nella mente le tornavano a ondate gli anni di scuola: la ragazzina taciturna, i vestiti semplici, gli sguardi bassi. E poi le risate cattive nei corridoi, le battutine, il sentirsi superiore. Ora davanti a lei sedeva una donna sicura, elegante, rispettata. Non solo non era crollata: si era costruita da sola una vita luminosa.

La conversazione partì esitante, quasi di circostanza, ma via via prese calore.

Alina raccontò degli inizi difficili: i primi locali piccoli e in affitto, i turni interminabili, lo stipendio che a volte non bastava, gli errori costosi che però le avevano insegnato quasi tutto.

— In questo settore, ogni particolare conta, — spiegò, con una luce viva negli occhi. — Il menu, la qualità degli ingredienti, il modo in cui accogli una persona alla porta, il tono con cui rispondi al telefono. La gente non compra solo cibo, compra un ricordo.

L’altra la ascoltava davvero, senza più quella patina di superiorità. Per la prima volta vedeva Alina per quello che era: una professionista, una donna che si era fatta da sola, capace di stare nel proprio successo senza ostentarlo.

Poi fu il suo turno di aprirsi. Parlò del lavoro in redazione, delle collezioni da seguire, delle sfilate, delle scadenze che non lasciano respiro. Raccontò di quanto fosse eccitante ma anche logorante inseguire le tendenze, di quante volte avesse messo da parte la propria vita privata per chiudere un numero in tempo.

A poco a poco entrambe si resero conto che, al di là dei ricordi amari del liceo, la vita le aveva rese… simili. Due donne che avevano faticato, inciampato, vinto e perso a modo loro. Il successo, capirono, non è soltanto il conto in banca o il titolo sul biglietto da visita: è riuscire a guardarsi allo specchio senza vergognarsi di chi si è diventate.

Quando la serata stava per finire, uscirono insieme dal ristorante. L’aria fresca cancellò l’ultima traccia di imbarazzo. Non erano più le ragazzine schierate su fronti opposti: erano due adulte che avevano deciso, almeno per una sera, di mettere da parte il passato.

Si scambiarono i numeri di telefono, ridendo un po’ della stranezza della situazione.

— Magari la prossima volta ci vediamo senza incidenti di stile, — scherzò Alina.

— E senza commenti stupidi da parte mia, — aggiunse l’altra, con un sorriso sincero.

Quella sera, iniziata con sarcasmo e pregiudizio, si trasformò in qualcosa di diverso: un piccolo ponte gettato tra due destini che si erano incrociati tra i banchi di scuola e poi allontanati. Ora, forse, potevano camminare per un tratto affiancate, con una consapevolezza nuova: non è mai troppo tardi per rimediare, né per concedere a qualcuno — e a se stessi — un nuovo inizio.

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