«Mamma, vivremo qui?» La voce di Liza tremava, leggera come una foglia che non sa dove posarsi.
Svetlana la strinse più forte. Davanti a loro la casetta pareva un giocattolo abbandonato: tetto storto, infissi scrostati, pareti segnate dal tempo come un volto che ha smesso di stupirsi. «Sì, amore. Con un po’ d’ordine e qualche tenda colorata la faremo nostra. E sarà più bella di quanto sembri.» Cercò di tenere ferma la voce, ma l’ansia le pizzicava la gola.
«Davvero ci riusciremo?» insistette Liza, scrutando la pittura che cadeva a scaglie.
«Insieme sì. Ce la faremo.»
Svetlana provò a ridere, ma le uscì un suono secco. La stanchezza le pesava sulle spalle. Si sedette sul gradino traballante del portico e tirò il fiato. Non era la casa dei sogni, però era finalmente un tetto tutto loro. Dopo mesi trascorsi su divani altrui, aveva capito che doveva rimettere radici, anche se piccole.
Aveva contato i risparmi fino all’ultimo spicciolo. L’ex marito le aveva lasciato poco, una cifra che somigliava più a un contentino che a una responsabilità. Non importava. A trentacinque anni non si sentiva finita: voleva ricominciare. Quella casetta era la più onesta tra le opzioni possibili.
La proprietaria, un’anziana dai gesti gentili, le chiese: «Siete in due?»
«Sì.»
«E… un uomo in casa? Sa, in posti così piccoli, senza, è dura.»
Svetlana stava per sviare, ma Liza la precedette: «Papà ci ha mandate via. Dice che non ha più bisogno di noi.»
La donna sospirò piano. «Gli uomini sanno far male. Vi farò uno sconto. Anche io, tanti anni fa, sono ripartita da zero. Questa casa tornerà a respirare, vedrà.»
Gli occhi di Svetlana si riempirono. C’era ancora bontà nel mondo.
Il giorno dopo andarono al mercato: tende a fiori scontate, una tovaglia a pois, qualche pianta in vaso. Cominciarono a rimettere in sesto le stanze. La sera, spossate ma felici, guardarono il piccolo miracolo: le finestre avevano preso colore, il tavolo, con la tovaglia bianca, pareva neve nuova.
«Mamma, sembriamo due maghe!» rise Liza.
«E due maghe affamate meritano una cena come si deve,» rispose Svetlana, finalmente con un sorriso vero.
Nel giro di poche settimane la casa cambiò faccia. Restava però un nodo: niente posto all’asilo per Liza e la necessità di lavorare subito.
Svetlana decise che avrebbe accettato qualunque impiego purché le lasciasse tempo per la bambina. Correndo di via in via, vide un cartello: “Cercasi personale di sala”. Entrò.
«Le selezioni sono chiuse,» disse un ragazzo con un badge: “Dimitrij – amministratore”. Stava già per uscire quando lui la richiamò: «Un attimo. Avremmo urgente bisogno di una lavapiatti. Non era previsto, ma se vuole può provare. Stipendio onesto, mance divise tra tutti.»
Lavare piatti non rientrava nei suoi piani. Ma la cucina era luminosa, pulita, ben organizzata. E l’orgoglio, in quel momento, non pagava il pane.
Da lì ricominciò. Conobbe Valentina Pavlovna, una vedova del quartiere dal cuore largo che prese Liza a benvolere come una nonna. Scoprì che anche un lavoro umile poteva ridare ritmo al respiro e dignità alle giornate. I colleghi la trattavano con rispetto; Dimitrij, con discrezione, si informava sempre di Liza e degli orari dell’asilo.
Finché, una sera di festa, nel locale affollato si udì un tonfo: un invitato crollò a terra, labbra cianotiche, occhi sbarrati. Un attimo di panico. Svetlana non ebbe bisogno di pensarci: si inginocchiò, valutò il polso, liberò le vie aeree, avviò le compressioni toraciche, guidò chi chiamava l’ambulanza. Mani sicure, respiro calmo. Quando l’uomo riprese colore e tossì, un mormorio attraversò la sala.
«Chi… chi l’ha salvato?» chiese qualcuno.
«La lavapiatti,» sussurrò il barman, ancora pallido.
Da quel momento tutto cambiò. La storia di quella “lavapiatti” che era stata medico fece il giro della città. Le arrivarono proposte: un ambulatorio privato cercava una figura per le visite domiciliari, un pediatra chiedeva supporto part-time, il ristorante voleva trattenerla come responsabile per la sicurezza sanitaria. Dimitrij le disse solo: «Qualunque scelta tu faccia, sappi che qui hai una casa.»
Svetlana riannodò la sua professione, ma anche qualcos’altro: la fiducia in sé. La casetta prese davvero a respirare; Liza trovò posto all’asilo; Valentina diventò famiglia. E tra turni e tende fiorite, nacque un sentimento semplice e paziente con Dimitrij.
A volte la vita ti mette davanti a un lavandino pieno di piatti solo per ricordarti chi sei: capace di curare, aggiustare, ricominciare. E di trasformare una casa storta in un posto dove, finalmente, ti senti a casa.
