«L’uomo implorava che sospendessero le terapie aggressive per la moglie, ma accadde qualcosa di totalmente inatteso.»

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«Ciao, papà!»

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L’uomo stava parlando a bassa voce con una giovane donna, attento a non disturbare gli altri pazienti; alla voce della figlia si voltò subito.

«Nastya, comportati bene.»

«Papà, sono stufa di stare seduta. Ho già raccontato tutto a Liza. Posso fare un giretto nel corridoio?»

«No, Nastya. Qui ci sono persone malate: serve silenzio.»

La donna accanto a lui sorrise.

«Vitya, non essere così rigido. Farà solo due passi, vero, tesoro? Non darà fastidio a nessuno.»

La ragazza annuì con convinzione e fece al padre il gesto della chiave che chiude la bocca. Viktor le rispose con un sorriso tenero. Amava sua figlia quanto amava sua sorella, Lizka, ricoverata da tempo: una presenza preziosa nella loro vita, quasi una seconda madre per la bambina. Dopo la morte della madre di Viktor, era stata Lizka a fermarsi con loro, rinunciando per un po’ alla carriera pur di aiutare la famiglia.

Nastya uscì nel corridoio. Nessuno le badava; allora si avvicinò alla stanza dove dormiva Lizka. Dietro la porta a vetri, su un letto d’ospedale, una giovane donna dal viso bellissimo giaceva immobile. A Nastya parve una “principessa addormentata”, come nella fiaba letta di recente.

Nella storia, pensò, il principe arriva a svegliarla. «Forse il principe si è perso,» si disse, «o le è capitato qualcosa e la principessa si è riaddormentata.»

Quando rientrò in reparto, la voce del padre la raggiunse: «Allora? Ti è piaciuta la passeggiata?»

La bambina esitò un attimo. «Papà… alle principesse addormentate possono fare le punture anche persone normali, non solo i dottori?»

«Be’, perché no? Anche i medici sono persone. E non sempre indossano il camice.»

Nastya tirò un sospiro di sollievo, baciò Lizka sulla fronte e sussurrò: «Torniamo domani. Mi raccomando, non mancare.»

Lizka la abbracciò piano. «Non serve che veniate domani: se tutto va bene dopodomani mi dimettono.»

«Io vengo lo stesso,» insisté Nastya. «Così mi assicuro che proceda tutto bene.»

«La nostra Nastya non la si inganna,» commentò Viktor, divertito.

Il giorno seguente, però, la clinica fu scossa da un putiferio. Non capita spesso che i familiari chiedano di staccare le macchine; di solito si implora il contrario. Lizka intercettò a fatica il medico curante, Roman Yevgen’evič, agitato ma imperscrutabile.

«Elizaveta, qualcosa non va? Sei in ansia?»

«Sì. Oggi non sei passato e non so se devo prepararmi alla dimissione. Devo avvisare i parenti.»

«Ora ho una consulenza delicata. Più tardi farò il giro e spiegherò tutto. Intanto avvisa pure.»

A capo chino, Lizka tornò in stanza. Roman, medico di vecchia scuola, era combattuto: sapeva che l’attività cerebrale di Lizka, pur minima, non era spenta; c’era ancora un filo di speranza.

Mezz’ora dopo si riunì l’équipe. Emerse che Lizka era caduta da un’altezza rincorrendo un gatto; il trauma l’aveva fatta sprofondare in un coma durato mesi. Il marito, sfinito, pretendeva di interrompere il supporto vitale: per lui era ormai un «vegetale».

I pareri si divisero: c’era chi voleva continuare a lottare e chi sosteneva che fosse tempo di arrendersi. Il silenzio fu rotto da una vocina:

«Non è vero! La principessa ha aperto gli occhi, mi ha sorriso. Poi è arrivato uno zio, lei si è spaventata, lui le ha fatto un’iniezione e si è riaddormentata.»

Roman si girò di scatto verso la bambina. «Tu vieni spesso da Elizaveta?»

«Sì. Ieri mi ha sorriso.»

Il marito provò a zittirla, ma i medici intervennero. Il primario dispose che la piccola restasse per raccontare con calma ciò che aveva visto. Dal suo racconto emerse la figura di un uomo misterioso che aveva praticato un’iniezione, dopo la quale Lizka si era quietata. Scattò l’indagine: arrivò la polizia, un’infermiera venne sospesa in via precauzionale e si controllarono accessi e farmaci.

Viktor rimase accanto alla sorella, in bilico tra paura e speranza.

Un mese dopo, Lizka era a casa. Quel giorno festeggiavano i sette anni di Nastya, «la bimba che aveva svegliato la principessa». Alla porta comparve una donna splendida, seguita da due uomini carichi di pacchi.

«Ciao, mio salvatore!» esclamò Nastya, correndole incontro.

Lizka abbracciò la visitatrice. Era Inna, la madre di Nastya e amica d’infanzia di Viktor: una presenza discreta, ma sempre pronta a proteggere la bambina. Tra risate, abbracci e racconti, in quella casa ferita dalla sofferenza si respirava finalmente un’aria nuova.

Passò un anno e Inna divenne un punto fermo nella vita di Nastya—con una promessa dolcissima: presto sarebbe arrivato anche un fratellino… un piccolo principe per la loro principessa.

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