«Ho trovato un test di gravidanza positivo e un biglietto nascosti in un pacco destinato a mio padre; così ho deciso di pedinarlo di nascosto al suo appuntamento per capire cosa stesse accadendo.»

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Non mi sarebbe mai passato per la testa di trovare, dentro un pacco intestato a mio padre, un test di gravidanza positivo. Né, tantomeno, un biglietto d’amore firmato con un malizioso “amore mio”. Mi si è gelato il sangue: papà stava tradendo mamma? O peggio, aspettava un figlio di nascosto?

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Ho sempre creduto che i miei genitori fossero la coppia perfetta: risate condivise, piccoli balli in cucina quando credevano di non essere visti, gesti quotidiani pieni d’affetto. All’improvviso non sapevo più cosa pensare.

A diciotto anni ero andata a vivere in città per conquistare la mia indipendenza. Il mio appartamento era minuscolo — un divano vissuto, una cucina in cui a malapena ci stavano due persone — ma era casa mia, e ne andavo fiera. Tra università e lavoro respiravo a fatica, figurarsi trovare il tempo per tornare in periferia dai miei. Ci sentivamo, certo, ma non ci vedevamo da mesi.

Poi, un pomeriggio, suona il telefono. Era papà. Sorrisi e risposi al volo.
«Ehi, sconosciuto!»
«Ciao, piccola,» disse con quel calore che conoscevo bene. «Domani sono in città per lavoro.»
«Davvero? Dove alloggi?»
«In un hotel in centro, solo per un paio di notti.»
«Perfetto, allora ci vediamo.»
«Non vedo l’ora,» ridacchiò.

Il giorno dopo arrivai all’hotel quasi saltellando. Lui aprì la porta e io mi tuffai tra le sue braccia.
«Papà!»
«Ciao, piccola mia,» disse stringendomi forte. «Sei splendida.»
«Anche tu,» risposi, notando qualche capello grigio in più ma lo stesso, inconfondibile sorriso.

Parlammo come se nessun giorno fosse passato: la mia vita, il lavoro, gli esami; io gli raccontai di mamma, della casa e di Buster, il nostro cane. Tutto sembrava normale, rassicurante… finché bussarono alla porta.

Papà era in bagno e mi chiese di aprire. Un fattorino mi porse un pacco marrone.
«Lo apro?» domandai.
«Sì, sarà roba di lavoro.»

Strappai il nastro aspettandomi documenti o pezzi di ricambio. Invece, ecco la sorpresa: un test di gravidanza positivo e un biglietto.
“Congratulazioni, amore mio! Incontriamoci al Café *** alle 19:00.”

Il cuore mi fece una capriola. Un’amante incinta? Con le mani che tremavano richiusi in fretta la scatola. Pensai subito a mamma: doveva saperlo, ma non volevo essere io a spezzarle il cuore.

In quel momento papà uscì dal bagno.
«Chi era?»
«Un pacco. Non l’ho aperto,» mentii, cercando di sembrare disinvolta.
Lui lo prese senza darci peso. Ma io ormai dovevo sapere.

Quella sera infilai la giacca e andai al caffè indicato. Mi sistemai in un angolo, invisibile.
Alle 19 in punto arrivò papà, con un mazzo di rose. Stringevo i pugni sotto al tavolo: rose? Davvero?

La porta si aprì. Entrò una donna. Trattenni il respiro. Era… mamma.

Rimasi di sasso mentre loro due si scambiavano sorrisi, abbracci, baci e parole tenere da adolescenti innamorati. Poi papà le posò una mano sulla pancia e la baciò. Sotto il vestito si vedeva una dolce rotondità.

Mamma era incinta.

Con il telefono che mi tremava tra le dita, registrai la scena: capivo di stare catturando un momento irripetibile. Avevo passato l’intera giornata a pensare che papà fosse un traditore, e invece era semplicemente un uomo follemente innamorato, pronto a ricominciare.

Quella notte, nel mio minuscolo appartamento, riguardai il video più volte, tra sollievo e felicità. I miei, insieme da vent’anni, si amavano ancora come il primo giorno. E adesso aspettavano un bambino: per me, un fratellino o una sorellina.

Sorrisi da sola. Dopo una vita da figlia unica, la nostra famiglia si stava allargando. Sei mesi più tardi, al baby shower di mamma, raccontai la storia davanti a parenti e amici e mostrai il video. La stanza si riempì di risate e lacrime.

Mamma mi diede una gomitata affettuosa e, ridendo, disse: «Amelia, davvero pensavi che tuo padre mi tradisse?»
«Ho avuto un attimo di panico!» confessai.

Tra abbracci e calore, capii che quella sarebbe diventata una di quelle storie di famiglia destinate a essere raccontate — e amate — per tutta la vita.

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