Quando scoprii di aspettare un bambino, ero convinta che il giorno più felice della mia vita sarebbe stato quello del matrimonio con Michael. Poi, con il passare dei mesi, capii che la nascita del nostro primo figlio avrebbe superato ogni cosa.
Non immaginavo che quel giorno avrebbe segnato l’inizio di un incubo. Michael mi aveva giurato che sarebbe stato al mio fianco, pronto a stringermi la mano mentre accoglievamo nostro figlio. Avevamo pianificato tutto: la playlist per la sala parto, il piccolo cappellino per il neonato. E invece, quando arrivò il momento, lui non si presentò.
Ricordo i sorrisi compassionevoli delle infermiere, i loro tentativi di rassicurarmi: “Sarà solo in ritardo.” Ma, minuto dopo minuto, il mio cuore diventava più pesante.
Passai ore a chiamarlo, lasciandogli messaggi tremanti; nessuna risposta. Più le contrazioni si facevano serrate, più cresceva la paura: davvero avrei affrontato tutto da sola? Cosa poteva averlo fermato?
«Dai, Michael…» mormorai tra i denti, aggrappandomi al lenzuolo.
Quando nostra figlia venne alla luce, la gioia mi travolse, ma accanto a me rimase un vuoto enorme, un posto che spettava a lui. Dov’era? Perché non dava segni di vita?
Mia madre non mi lasciò un attimo: teneva la mia mano dove avrebbe dovuto esserci quella di Michael. Nei suoi occhi lessi una preoccupazione densa, ma se sapeva qualcosa, non lo rivelò.
«Riposa, Elena» sussurrò. «Ora pensa a te e a Emily. Il tuo corpo ha bisogno di tempo.»
«Lo so» risposi, «ma sono così in ansia…»
Dopo due giorni di degenza tornai a casa. Mia madre mi aiutò a sistemare Emily nel seggiolino e guidò in silenzio. Le dita le tamburellavano sul volante, nervose.
Provai a calmarmi ripetendomi che Michael avrebbe avuto una spiegazione: un imprevisto al lavoro, forse un incidente. Ma più ci avvicinavamo, più i pensieri deragliavano.
Niente mi preparò a ciò che trovai varcando la soglia.
La casa era avvolta da un silenzio innaturale. Aprii la porta sperando di vederlo lì, pronto a spiegare, a chiedermi perdono con uno sguardo.
«Michael?» chiamai, la voce che rimbalzava in stanze vuote. «Michael, ci sei?»
«Shh, Elena» mi fermò mia madre. «Emily dorme.»
La ignorai e corsi su per le scale. Dovevo controllare la cameretta della bambina; forse era lì ad aspettarci. Avevamo passato settimane a prepararla, proprio come la sognavo.
Quando aprii la porta, il respiro mi si spezzò.
La stanza era quasi spoglia. La culla c’era, ma le decorazioni, i peluche, i vestitini, le copertine scelte con cura… tutto sparito. Solo un foglio, posato con cura nella culla.
“Ti amo, Elena, e amo anche il nostro bambino. Ma devo andarmene per sempre. Chiedi a tua madre perché ha fatto questo. Ho preso alcune cose di Emily per ricordarci.”
Rimasi a fissare quelle righe, inanellando domande senza risposta. Perché Michael se ne andava? Cosa c’entrava mia madre?
«Mamma!» urlai scendendo le scale, il corpo ancora stremato, il biglietto stretto tra le dita. La trovai in salotto, con Emily addormentata tra le braccia.
«Che cos’è questo?» le mostrai la lettera. «Che cosa hai fatto? Dov’è mio marito?»
Mi guardò con occhi appesantiti, e per un istante vi lessi un’ombra: senso di colpa? Rimorso?
«Non volevo che lo scoprissi così» mormorò.
«Scoprire cosa?» quasi gridai.
Inspirò a fondo, come per prepararsi a una verità dolorosa.
«Ho scoperto qualcosa su Michael, tesoro. Non potevo tenermelo. Dovevi sapere che io lo sapevo.»
«Che cosa? Perché parli per enigmi?» chiesi, esausta.
«Ti tradisce» disse piano. «Con una collega. Puoi crederci?»
Le sue parole mi colpirono allo stomaco. Caddi su una sedia.
«No, mamma» sussurrai. «Non è possibile. Michael non lo farebbe. Mi ama. Era felice per il bambino, per noi!»
«Vorrei che fosse una bugia» rispose dolcemente. «Ma l’ho sentito al telefono: parlava di un incontro in motel. L’ho affrontato e ha confessato. Sta con la sua capo, una donna molto più facoltosa.»
«La promozione, allora…» balbettai. «Non era merito suo? E l’auto… non era per un affare chiuso?»
Sentii tutto crollare.
«Perché non me l’hai detto?» piansi. «Perché non mi hai lasciato affrontarlo? Dargli la possibilità di spiegare?»
«Tesoro» mi abbracciò, con una cura che bruciava, «gli ho dato quella possibilità. Gli ho detto: o glielo dici tu, o te ne vai per sempre. Se fosse stato sincero, forse una speranza c’era.»
Per un attimo, non volli crederle.