«Le posò tra le braccia un cane appena salvato dal rifugio, proprio mentre la sua vita si spegneva… poi partì. Quando tornò prima del previsto, vide l’impensabile. Chi viene a sapere cosa è accaduto non riesce a trattenere le lacrime.»

0
91

«Alla figlia che si stava spegnendo regalò un cane preso al rifugio… poi fu costretto a partire. Tornando in anticipo, vide ciò che non avrebbe mai creduto possibile. Chi conosce davvero la verità non riesce a trattenere le lacrime.»

Advertisements

— Pa’… — sussurrò Liza, girando la testa con uno sforzo enorme, come se quel gesto le pesasse addosso.

Da quattro mesi la sua vita era una stanza d’ospedale. La malattia avanzava lenta e testarda, togliendole un frammento dopo l’altro. Della bambina che correva per casa ridendo, che costruiva castelli di cuscini e credeva nei miracoli, restava un’ombra sottile.

Deglutii, con quel dolore muto che scava dentro. Quando Liza chiese un cane, sul suo viso passò una luce breve, come una fenditura nel buio.

— Certo, amore — dissi piano, cercando una sicurezza che non avevo. — Avrai quello che desideri.

Il mattino dopo andai al rifugio. Tra decine di gabbie, lo sguardo si fermò su di lei: magra, bianca e nera, con occhi profondi in cui sembrava riflettersi un mondo intero — intelligenti, inquieti e insieme dolcissimi.

— Si chiama Luna — disse la volontaria. — È buonissima. Adora i bambini.

— Perfetta — annuii. — Mia figlia la sta aspettando.

Quando entrai piano nella stanza di Liza, con Luna al guinzaglio, successe una cosa che non vedevo da settimane: Liza sorrise. Un sorriso vero, caldo. Abbracciò il cane, affondò le dita nel pelo come in una coperta che scalda l’anima, e mormorò:

— Lei capisce che sto male… Papà, grazie…

Ma la vita non ci concesse di restare a lungo sospesi in quell’attimo. Dopo due giorni dovetti partire d’urgenza per lavoro: una cosa che non potevo rimandare, legata al nostro futuro. Liza rimase con la sua matrigna, la mia seconda moglie, che mi assicurò che avrebbe pensato a tutto.

— Non preoccuparti, andrà tutto bene — disse con calma.

Partii con il cuore pesante, aggrappandomi all’idea che Luna sarebbe rimasta accanto a Liza, che non si sarebbe sentita sola.

La trasferta finì due giorni prima del previsto. Tornai la sera, e mi investì il silenzio. Niente risatine soffocate, nessun passo lieve sul parquet, nessun ticchettio di zampette nel corridoio.

Un presentimento mi trapassò il petto. Corsi nella camera di Liza: vuota. Sul pavimento, una ciotola asciutta e, vicino alla porta, piccole impronte di zampe ormai secche.

In cucina c’era mia moglie. Seduta. Una tazza di tè in mano, lo sguardo di ghiaccio.

— Dov’è Liza?… E il cane?! — esplose la domanda.

— Quella pulciosa l’ho data via! — sbottò. — E Liza è in ospedale. Ha avuto la febbre. Con quel sacco di pulci in casa…

Non ascoltai altro.

Un’ora dopo ero in corsia. Liza giaceva pallida, gli occhi pieni di lacrime.

— Papà, se n’è andata… l’ho chiamata… e non c’era… Perché?

— La ritroverò, amore — promisi, stringendole la mano. — Te lo giuro.

Per tre giorni e due notti non dormii. Girai la città, chiamai rifugi e cliniche veterinarie, appesi volantini, chiesi aiuto a sconosciuti. Avrei fatto qualsiasi cosa.

Al quarto giorno trovai Luna. Rannicchiata in fondo a un box, guaiva piano, come se sapesse che la salvezza fosse vicina. Appena aprii la gabbia, mi saltò addosso con una forza fatta di paura e sollievo, come per dirmi: «Siamo di nuovo insieme».

Non tornai a casa: andai dritto in ospedale. Quando Luna entrò nella stanza, negli occhi di Liza si accese una luce che non vedevo da mesi.

— L’hai riportata… allora anch’io potrò tornare, vero?… A casa?

Sono passati due mesi. E, poco per volta, è accaduto l’incredibile: Liza ha ripreso colore, i movimenti sono tornati sicuri, la voce più piena. E la matrigna?…

Advertisements