Mi ha messa in ridicolo davanti a tutti gli ospiti… senza sapere che la nuova direttrice ero proprio io.

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«Len’, guarda che premio mi hanno dato!» Dima piombò in casa di corsa, sventolando una busta come fosse una coppa. «Con questi soldi ce ne andiamo dritti in Turchia!»

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Olena si voltò dai fornelli e sorrise. Adorava vederlo così, luminoso come un ragazzino. Cinque anni di matrimonio e i suoi traguardi continuavano a scaldarle il cuore.

«Complimenti, mio piccolo genio della finanza,» disse, sfiorandogli la guancia con un bacio. «Anch’io ho una novità: oggi Ihor Viktorovyč ha fatto capire che potrebbe arrivare una promozione.»

«Davvero?» Dima le cinse la vita, sinceramente contento. «Bravissima! Però… diciamolo: gli stipendi da voi non sono al livello dei nostri.»

Olena ebbe un impercettibile sussulto, ma non replicò. Era vero che l’“Invest-Alliance”, dove lavorava Dima, pagava meglio del suo “Capital-Trust”. Ma il carico sulle spalle di Dima era molto più leggero.

A cena, lui raccontò con entusiasmo l’ultimo affare, gesticolando con la forchetta:
«Pensa: un cliente tedesco, contratto da tre milioni di euro! Io faccio tutto il lavoro serio, il resto della squadra mi gira attorno.»

«E Sasha cosa dice?» chiese Olena, pensando al collega.

«Macché, lui smista carte. L’analisi la faccio io,» liquidò Dima con un gesto.

Il primo campanello d’allarme suonò un mese dopo. Olena condivise, soddisfatta, la chiusura di un progetto.

«Bene, bene,» mormorò Dima senza staccare gli occhi dal telefono. «Però i numeri non sono paragonabili. Io adesso tratto con i francesi.»

«Parlo di un accordo da un milione e mezzo di dollari, Dim.»

Lui alzò lo sguardo e le rivolse un sorriso paternalistico:
«Niente male… per cominciare. Con l’esperienza arriverai a cifre serie.»

Olena quasi si strozzò con l’insalata. “Per cominciare”? Lavorava con clienti internazionali da quattro anni.

Col tempo, peggiorò. Dima prese l’abitudine di ridimensionarla anche davanti agli amici:
«Olena tende a esagerare,» diceva con un’aria comprensiva. «Le donne drammatizzano. In realtà fa solo le pratiche.»

«Dim, tratto direttamente con i clienti…»

«Amore, non annoiamo gli ospiti con i dettagli del lavoro,» le accarezzava la spalla come a placarla.

Lei serrava le labbra. A casa litigavano; lui però non capiva:
«Perché ti offendi? Non ti umilio, dico solo la verità. Il tuo lavoro è più leggero.»

La svolta arrivò quando a Olena proposero la direzione di reparto.

«Lo stipendio è il doppio del tuo,» annunciò a colazione.

Dima rise mentre si versava il caffè:
«Len, impossibile. Nessuno paga così per il tuo profilo. Sicuro è una fregatura: ti sfruttano e poi ti mandano via.»

«E se accettassi?»

«Perché rischiare? Hai un posto sicuro, colleghi a posto. Io guadagno per tutti e due. Le donne non devono correre dietro ai soldi: è compito nostro.»

Olena lo guardò in silenzio, poi prese il telefono:
«Accetto. Quando possiamo fissare i dettagli?»

Il venerdì seguente, mentre Dima usciva, chiamarono le risorse umane. Lei parlò sottovoce, segnando orari e nomi. Dima non ci fece caso: per lui, le sue telefonate erano sempre rumore di fondo.

Quel giorno Olena camminò sospesa: nuova posizione, nuove responsabilità, stipendio più alto di quello di Dima. Lo immaginava orgoglioso, per una volta.

La sera, però, non ci fu spazio. Dima rientrò trionfante:
«Len, prepara qualcosa di speciale! Stasera vengono Sasha con Vika e Anton con la nuova. Festeggiamo i tedeschi!»

Olena provò a dire che era stanca e che voleva parlargli da sola. Ma lui era già al telefono.

Un’ora dopo, la cucina era un campo di battaglia: insalate, pollo al forno, tovaglia da cambiare. Dima passava, distribuendo osservazioni:
«I cetrioli sono troppo grossi. E metti una tovaglia decente, non quella lisa.»

Fece appena in tempo a cambiarsi prima del campanello. Col viso arrossato e i capelli un po’ scomposti, sembrava più una cuoca che una manager.

«Vika, come va in banca?» chiese Olena, sedendosi un istante.

«Len, un po’ di ghiaccio. E controlla la birra,» la troncò Dima.

Lei si alzò, mascella serrata. Vika le lanciò uno sguardo pieno di scuse.

Per tutta la serata Dima le affibbiò mansioni minute: salsa, musica, dessert. Senza uno sguardo, come fosse personale di servizio.

«Ti ricordi il progetto con gli italiani?» chiese Anton.

«Eccome!» si pavoneggiò Dima. «Quattro mesi di lavoro, ma l’ho portato a casa. Ora lavorano solo con noi.»

Olena provò a citare il suo ultimo contratto, ma Dima la zittì con la mano:
«Len, qui parliamo di cose serie. Controlla il dolce.»

Il silenzio cadde pesante. Poi Sasha cambiò argomento.
Olena si rifugiò in cucina, le mani aggrappate al davanzale. Trattenne le lacrime. In quell’istante capì: era finita. Lunedì avrebbe iniziato una vita nuova.

La mattina seguente Dima canticchiava sotto la doccia. Olena indossò un tailleur impeccabile, tacchi e trucco sobrio. Sembrava una dirigente. Lui non notò nulla.

«Buona giornata con le tue carte,» disse afferrando la ventiquattrore.

«Anche a te, caro,» rispose lei, con una sfumatura che lui non colse.

Il primo giorno volò tra riunioni e presentazioni. Scoprì che il suo reparto collaborava proprio con i clienti di “Invest-Alliance”. E che la sua firma, adesso, decideva le sorti dei contratti del team di Dima.

La sera, lui, come sempre, incollato al tablet:
«Com’è andata?»

«Molto bene. Sto imparando parecchio sul mercato.»

«Perfetto. Ma senza esagerare, eh? Una donna deve restare donna, non diventare maniaca del lavoro.»

Olena tacque. Il giorno dopo ci sarebbe stata la riunione con “Invest-Alliance”. E Dima sarebbe stato lì.

Martedì, in sala conferenze, Olena sedeva a capotavola. L’assistente le porse l’elenco degli ospiti:
«La delegazione è guidata da Pronin Dmytro Serhijovyč. Pare sia un analista brillante.»

Olena accennò un sorriso. Se solo sapessero.

Alle due in punto la porta si aprì. Dima entrò sicuro, poi la vide e si immobilizzò. Lo stupore gli gelò il volto.

«Lena? Che ci fai qui?»

Olena si alzò con calma:
«Buongiorno, colleghi. Sono Olena Viktorivna Pronina, direttrice del reparto di pianificazione strategica. Prego, accomodatevi.»

Dima rimase in silenzio tutta la riunione, con lo sguardo fisso su di lei. La seduta durò due ore: Olena conduceva, poneva domande, indicava la rotta. Impeccabile.

Alla fine, lui rimase indietro:
«Lena, non capisco come tu…»

«Questo è il mio lavoro. E da oggi gestisco i vostri progetti.»

«Ma tu…»

«Io cosa?»

Si passò la mano tra i capelli, spiazzato:
«Scusami. Sono stato uno sciocco. Non avevo capito quanto vali. Possiamo parlarne a casa?»

Olena lo guardò dritto negli occhi:
«Ne parleremo, Dmytro Serhijovyč. Di parità nel matrimonio. E se ti meriti una seconda possibilità.»

Poi uscì. Per la prima volta si sentì davvero forte.

E sì, alla fine quella seconda possibilità gliela diede. Ma da quel giorno fu una vera partnership. È l’unico modo per costruire un futuro felice.

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