Cassandra abitava ancora nella vecchia casa di famiglia, in una via quieta dove le ore parevano allungarsi. Accanto a lei vivevano quattro sorelle ultrottantenni: corpi fragili, menti abitate da ricordi limpidi e storie preziose.
Capì presto quanto fossero sole. Così, al rientro dai turni in ospedale, passava da loro: preparava una tisana, portava la spesa, si fermava a chiacchierare finché gli occhi di tutte non si addolcivano. Quelle donne, diventate quasi una seconda famiglia, ricambiavano con sorrisi e parole gentili. «Sei un dono, Cassandra» le disse un giorno Marie, la maggiore. «Lascia almeno che ti paghiamo.»
Lei scosse il capo. Sapeva che qualche soldo in più le avrebbe fatto comodo, ma non se la sentiva. «No, Marie. Lo faccio perché vi voglio bene.»
Gli anni scivolarono via e la casa delle sorelle si fece sempre più silenziosa. Finché, inevitabile, anche l’ultima si spense. Pochi giorni dopo, il telefono squillò: l’avvocata di famiglia le chiedeva di passare in studio, c’era un’urgenza.
Seduta davanti alla scrivania di Abigail, Cassandra sentiva il cuore battere forte. Al massimo, pensava, le avrebbero lasciato un piccolo ricordo: una teiera, un cuscino ricamato, qualcosa che sapesse di loro.
Abigail le rivolse un sorriso dolce. «Cassandra, le sorelle hanno voluto ringraziarti a modo loro. Ti hanno lasciato la loro casa. Con tutto ciò che contiene.»
Cassandra rimase senza voce. «La… loro casa?»
«Sì», confermò l’avvocata. «Erano lucide, consapevoli. Ti hanno scelta perché c’eri, quando i figli erano lontani. Volevano offrirti un luogo sicuro.»
Le mani di Cassandra tremavano. Era ancora piena di debiti universitari e la sua abitazione cadeva a pezzi. Un’eredità così sembrava un sogno.
Non tutti, però, la presero bene. Alcuni figli delle sorelle la accusarono di averle manipolate; altri la guardarono con risentimento. Solo uno, Dariel, il figlio di Marie, si presentò alla sua porta con una scatola.
«Non sono qui per discutere», disse piano. Dentro c’erano fotografie, lettere, ricette scritte a mano e un fiore essiccato con una nota: Dal giardino di Cass — dice che questi fiori portano gioia.
Dariel abbassò lo sguardo, commosso. «Io non c’ero quasi mai, sempre via per lavoro. Tu, invece, hai dato loro pace. Ti sono grato.»
Quella sera restarono a parlare sulla veranda, come amici di vecchia data.
Dopo qualche mese, Cassandra si trasferì nella casa ereditata. Donò la sua vecchia abitazione a un’associazione che sosteneva madri sole e, nella nuova dimora, custodì i ricordi delle quattro sorelle aggiungendo il suo tocco: un orto nel giardino, un angolo lettura alla finestra e una stanza-rifugio dove le infermiere stanche come lei potessero riposare e respirare.
Ogni mese organizzava il tè, proprio come facevano loro. Lo chiamò “L’Ora della Lavanda”, in memoria delle quattro signore.
Un anno più tardi, un giornale locale raccontò la sua storia e chiuse così:
«Questa donna ha dato senza chiedere. In cambio ha ricevuto non solo una casa, ma un’eredità fatta di amore e di vita nuova.»
Ed era vero. Cassandra non aveva mai cercato una ricompensa. Ma la gentilezza, quando è autentica, trova sempre il modo di tornare.