«Dopo dodici anni di silenzio da quando mi ha lasciata sola con nostra figlia, il mio ex marito si è rifatto vivo per chiederle di parlarle — e il motivo che mi ha dato mi ha lasciata senza parole.»

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Dodici anni dopo che il mio ex marito George mi aveva lasciata sola con nostra figlia, si è rifatto vivo all’improvviso: diceva che doveva assolutamente rivedere Jennie. Quando però lei è tornata da quell’incontro con gli occhi pieni di lacrime, ho capito che le sue intenzioni non erano pulite. Alcuni mi hanno accusata di impedire il rapporto tra padre e figlia; io non la vedo così. Lasciatemi partire dall’inizio.

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Il giorno dopo essere tornati a casa dalla clinica con la neonata, George è sparito. Nessuna spiegazione, nessun messaggio. Nemmeno i suoi amici — su cui avevo sempre nutrito qualche dubbio — riuscivano a trovarlo. Non avevo il lusso di mettermi a cercarlo: c’era una bambina da crescere e io non avevo nemmeno un lavoro fisso. In tutti quegli anni, mai una chiamata, mai un interesse per come stessimo. Ho chiesto il divorzio e non ho preteso nemmeno un centesimo di mantenimento. Poi, dodici anni dopo, una chiamata dal suo vecchio numero: era lui.

«Emily, sono George. Devo vedere Jennie, ho notizie terribili», ansimava.

«Dodici anni di silenzio e adesso torni così?», ho detto, incredula.

«Sono malato. Terminale», ha sussurrato con voce spezzata.

La rabbia mi ha punto, insieme alla diffidenza. «Stai mentendo? Hai lasciato tua figlia e me senza una parola. Non so nemmeno chi tu sia ormai.»

«Fammi vederla una volta. Devo rimediare prima di andarmene», ha implorato.

Alla fine ho ceduto: forse per Jennie era giusto incontrarlo.

Il giorno dopo l’ho accompagnata davanti a un bar. Era curiosa, ma tesa. È entrata da sola, io sono rimasta in macchina. Pochi minuti dopo è corsa fuori piangendo.

«Mamma, dice che sta per morire… ma non posso fare quello che chiede.»

«Che cosa ti ha chiesto, tesoro?»

Silenzio. Poi: «Vuole che gli rubi dei soldi per pagare le cure.»

Mi si è gelato il sangue. Respiravo a fondo per non crollare davanti a lei. «Non preoccuparti, ci penso io», l’ho rassicurata.

A casa ho chiamato Frank, un vecchio amico di George. «Malattia? Non ne so nulla», ha esitato. Tanto mi è bastato: George mentiva.

Il giorno seguente ho riaccompagnato Jennie a un secondo incontro, ma stavolta ero pronta. Prima che scendesse, le ho dato un piccolo pacco di “medicine” comprate in farmacia e una busta.

«Consegnagli tutto insieme», le ho detto.

Quello che George non sapeva è che dentro la busta c’era ciò che meritava: la verità, nuda e cruda, nero su bianco.

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