«Sì, ti ho tradita da un pezzo… ma non ti azzardare a fare lo stesso per vendicarti.»

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— «Mi tradisci?» chiese lui a mezza voce, gli occhi incollati alle mattonelle.

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Lei tacque. Fece due passi verso lo specchio, raddrizzò un orecchino, passò un dito sulle labbra per ammorbidire il rossetto. Poi si voltò.

— «E tu ricordi che sei stato il primo a farlo?»

Quella risposta lo trafisse più di un semplice “sì”: c’erano dentro verità, rabbia e un’ammissione velata.

Igor e Marina stavano insieme da tredici anni. Due figli, un mutuo, la casetta fuori città e un finanziamento per l’auto. Una normalità ordinata: lavoro, scuola, compiti, spesa, un film la sera sul divano.

All’inizio c’era stato amore, di quello pieno. A ventidue anni Igor venerava Marina: poesie, attese sotto casa, proposte sussurrate. Poi il matrimonio, la primogenita, il secondogenito. Momenti di gioia vera, nitida. Una squadra. Finché l’abitudine non si sedette a tavola con loro.

La carriera di Igor correva. A trentacinque anni dirigeva un reparto in una grande azienda. Ripeteva: «Lo faccio per noi.» Ma più salivano i numeri, più lui scendeva a casa tardi. Riunioni infinite, trasferte, stanchezza che mordeva. Tornava nervoso, svuotato. Marina reggeva tutto: bambini, stoviglie, lavoro suo, scartoffie, lavatrici. Agli occhi di Igor, lentamente, lei smise di essere “la donna che amava” e diventò “chi tiene in piedi la casa”.

Poi apparve Lera, dieci anni meno di lui. Trucco impeccabile, capelli lucidi, tacchi, risate pronte. Rideva alle sue battute, gli lodava le idee, gli lasciava caffè caldo sulla scrivania. La sera: «Non avrai dimenticato la presentazione, vero?» Un messaggio che diceva molto più del testo.

Igor all’inizio scrollò le spalle. Poi un gioco leggero. Poi messaggi. Appuntamenti furtivi. Finché, una notte “per un corso fuori sede”, un hotel. Tradì. E continuò. Con lo stesso rosario di autoassoluzioni: «Non significa nulla. Solo un momento. Non lo dico a mia moglie: soffrirebbe. Non lo saprà. Non voglio il divorzio.»

Lera non voleva “rubare mariti”: le bastava essere leggera, ardente, facile. Con lei, Igor si sentiva uomo, non “padre con mutuo e merende”. Desiderato, brillante. Con Marina, rientrava tardi; lei, coda alta, maglietta slavata, la cena già pronta, i cartoni per i bambini in sottofondo. E lui iniziò a colpirla a parole: «Perché non ti sistemi? Perché non mi cerchi? Perché sei distante?» Marina rispondeva stremata: «Sono esausta. Faccio tutto da sola. Tu ci sei… ma è come se non ci fossi.» Per Igor, rumore di fondo. Vita divisa in due.

Marina, però, sapeva. Aveva letto ogni messaggio tra lui e Lera. Qualcosa in lei si spezzò. Niente scenate. Osservò e tacque, aspettando una confessione che non arrivò mai. Allora si ritrasse, come se la loro casa avesse improvvisamente due corridoi paralleli. Si occupò dei figli, certo. Ma cominciò a occuparsi anche di sé: non “per lui”, ma per se stessa. Il sorriso cambiò, le domande diminuirono, il telefono divenne suo complice, le uscite si allungarono.

Igor si tranquillizzò: «È un periodo. L’importante è che non sospetti nulla.»

Passò un anno. Lera gli stancò l’anima. Routine anche lì. Decise di “tornare a casa” in tutti i sensi. Marina nel frattempo era diversa: vestiti che le cadevano addosso come note, trucco pulito, profumo che restava nei corridoi, capelli lucidi. «Mi sta riconquistando?» pensò, compiaciuto. Si rilassò.

Finché, un giorno, sul telefono di lei apparve: «Ti aspetto in hotel. Come sempre?» Il sangue gli ghiacciò.

— «Marina, chi è che ti scrive?»
— «Vuoi la verità?»
— «Certo.»
— «Comincia tu: parlami della tua amante.»

Si irrigidì. — «Non è il punto. Sto parlando con te.»

Lei inspirò, calma. — «Vuoi sapere se ti tradisco?» Una pausa. «Prima: ricordati di quando l’hai fatto tu.»

Igor rimase muto. Si immaginava come il penitente pronto a chiedere perdono, non come l’uomo messo di fronte allo specchio. Voleva recuperare, non essere giudicato.

Marina entrò in camera; lui rimase nel corridoio, improvvisamente piccolo. Capì quanto fossero ridicole le sue scuse, quanto a lungo avesse preferito mentire e svuotarla col silenzio. E adesso che lei, forse, gli aveva risposto “con la stessa moneta”, si sentiva vittima?

Quella sera parlarono.

— «C’è qualcuno?»
— «Sì. Mi ha detto che sono bella. Mi ha ascoltata. Non mi ha presa in giro. È stato presente.»

— «È vendetta?»
— «No. È stata vita. Ho voluto sentirmi desiderata di nuovo. E tu eri diventato indifferente.»

Lui vide negli occhi di lei una distanza che non si colma. Per troppo tempo si era creduto intoccabile: “l’uomo di casa”, quello che “può sbagliare”. Non aveva contemplato l’eventualità che la moglie smettesse di aspettarlo sulla soglia.

Sei mesi dopo firmarono la separazione e poi il divorzio. I figli li vedeva a settimane alterne, con un calendario sul frigorifero. Marina sorrideva quando glieli consegnava: negli occhi le brillava una luce nuova, come chi ha ritrovato la propria strada.

E lui? Riaprì chat spente, scrisse “perdonami” di notte a numeri diversi, cercò conforto in braccia temporanee. Ogni tanto rileggeva i vecchi messaggi e riascoltava, nella testa, la frase che aveva cambiato tutto:

— «Ricordi quando mi hai tradita tu?»

Il boomerang era tornato. Un “solo un momento” aveva scardinato una famiglia che pareva invulnerabile. Credeva di governare la storia; la storia lo ha smentito.

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