«Len’ka, te l’avevo già detto: stasera ho gente a cena. La tavola dev’essere apparecchiata come si deve!» dichiarò Sergej a pranzo, senza possibilità d’appello.
Mancavano appena quattro ore all’arrivo degli ospiti: un battito di ciglia. Eppure per lui bollire due pel’meni e tagliare un’insalata non era neppure lontanamente sufficiente. Non si considerava un uomo qualunque, ma un agricoltore affermato, e la tavola, a suo dire, doveva sembrare quella di una vera festa.
«Accogliere con semplicità non basta? Non posso mettermi a cucinare: la bimba sta male, non posso lasciarla sola!» tentò di spiegare Lena, cercando di farlo ragionare. «Perché non vi incontrate in una casa di campagna, come facevate una volta?»
Parlava piano: sapeva che Sergej non tollerava repliche. Fin dall’inizio del matrimonio aveva imposto il suo carattere duro, convinto che lei fosse sempre in torto. Ogni discussione finiva uguale: «Sergej ha sempre ragione, punto.»
«Quali casali? A cosa serve una moglie se non ha tempo? Non è affar mio! Un uomo normale inizia il weekend con una bella mangiata notturna. Abituati!»
La loro bambina aveva appena quattro anni. E proprio per una gravidanza difficile Lena aveva accettato quel matrimonio col figlio viziato di genitori facoltosi. Com’era potuta arrivare a tanto?
La risposta era amara: lui sapeva recitare bene. Era stato premuroso quando sua madre di Lena stava male, promettendo amore e sostegno. «Non fidarti di loro,» la metteva in guardia sua madre, «in quella famiglia gli uomini col tempo diventano tutti tiranni.» Ma Lena, incinta e senza alternative, aveva detto di sì.
Dopo le nozze, la maschera era caduta. Sergej diventava sempre più duro; già durante la gravidanza le urlava contro, anche se tratteneva i colpi. Lei attribuiva tutto all’ansia da futuro padre.
«Vedrai che passa! È stata fortunata: ha preso un vero uomo!» ripeteva la suocera, Olga Alekseevna, presentandosi ogni tanto tutta in bianco, a ispezionare la casa come una caposquadra.
Perfetto, però, non poteva esserlo: gli amici di Sergej bevevano senza misura, entravano in casa con gli stivali sporchi e pretendevano attenzioni.
Prima del matrimonio Sergej era stato chiaro: «Una moglie come si deve o porta soldi, o ne fa guadagnare.» La realtà fu un’altra: passo dopo passo, prese il controllo di tutto, finché a Lena non rimase più alcuno spazio.
Poteva svegliarla a mezzanotte per una scenata o lamentarsi di un piatto “troppo salato”, anche davanti agli ospiti.
Avrebbe dovuto andarsene? Sua madre era morta da poco, e il fratello alzava le spalle:
«Ho da fare, lavori miei. Non ti fidi di me?»
«Mi fido… Dopo la morte di mamma abbiamo pensato fosse meglio sposarci. Magari avessi ascoltato i suoi consigli… Tu avresti potuto aiutarmi.»
«Io non te l’ho chiesto! E poi Sergej ha già cominciato a urlarti davanti a Mašenka,» ribatté Lena.
«E cosa ti aspettavi? È ricco! Non farmi la morale: chi arriva prima, mangia per primo. Sei troppo sensibile. Sii grata di avere un tetto.»
Il fratello non voleva immischiarsi. Se avesse avuto i mezzi, Lena sarebbe stata una madre single. Così, senza scelta, restava una moglie obbediente.
Quella frase le bruciò. Avrebbe voluto ribattere a Sergej, ma sapeva che l’avrebbe solo provocato. E temeva che il fratello, messo alle strette, le chiedesse pure dei soldi… senza restituirli.
Nonostante la ricchezza, Sergej risparmiava su tutto. Ordinò a Lena di andare in città, di nascosto, a comprare vestiti usati per lei e per la bambina.
«Potrei imparare a cucire…» propose piano.
«Hai sentito mia madre? La stoffa costa. Meglio l’usato,» troncò lui.
«Ma tu e Olga Alekseevna non mettete mai abiti di seconda mano! Comprate sempre il nuovo!» esplose Lena. «Non voglio che nostra figlia cresca vestita di stracci!»
Era la prima volta che gli si opponeva apertamente.
«Come ti permetti! Lo stipendio lo darai a mia madre, fino all’ultimo centesimo. Lei ti passerà i soldi per la casa. Io non ho tempo per queste cose!»
«Dunque io lavoro, consegno tutto a tua madre e poi gestisco la casa col suo permesso? È schiavitù? Pago per poter vivere?»
Per la prima volta, la voce di Lena si fece tagliente. Sergej rimase interdetto.
Le afferrò le spalle e la trascinò in cortile. Era novembre, un freddo tagliente.
La mattina dopo, tremando, Lena capì: così non poteva più andare avanti. Doveva scappare.
Quando Mašenka si svegliò e sentì i singhiozzi della madre, spinse con tutta la forza il chiavistello e la liberò. Si prese un malanno per lo sforzo, ma Lena tacque: temeva la vendetta di Sergej.
«Non dirlo a nessuno, va bene? Sei stata tu ad aiutarmi,» le sussurrò.
«Meglio punire me che te,» mormorò la piccola.
«Ti prometto che presto finirà. Ce ne andremo. Ma è un segreto.»
Il cuore di Lena si spezzò: sua figlia voleva proteggerla. Non poteva più rimandare. E proprio quel giorno Sergej aveva annunciato l’arrivo degli amici.
Lena provò un’uscita legale: «Posso smettere di consegnare il mio stipendio a tua madre? Non è giusto!» chiese al direttore della fattoria.
«Capisco… ma qui è tutto loro. Problemi con Sergej?» domandò Pëtr Ivanovič, scrutandola.
«No… niente,» esitò.
«Parlo io con Olga Alekseevna. La conosco da una vita, è una brava donna, quasi una madre per me.»
«No, voglio provarci da sola.»
Il fratello, invece, fu categorico: «Dimenticalo! Se lasci Sergej, per me non esisti più!»
«E non temi che io dica a Sergej che non hai saldato il debito?» rispose Lena, fissandolo.
Con sua sorpresa, ottenne cinquantamila rubli: un decimo appena del dovuto. Lui sbraitò e la insultò, ma alla fine firmò la ricevuta.
In casa, però, non cambiò nulla. La suocera pretendeva giustificativi per ogni spesa — anche per i pomodori — e accompagnava Lena al mercatino dell’usato.
«Hai una macchia sulla camicia? Metti uno scialle con una spilla! A chi credi di dover piacere, se non a tuo marito? La modestia è la prima virtù di una nuora!» ripeteva Olga.
Quella piccola somma era una vittoria solo grazie alla testardaggine di Lena. Senza di essa non avrebbe avuto neppure quella miseria.
«Stasera arriva il tuo socio più anziano. Vorrei fare l’arrosto di maialino ripieno. Ma Olga non risponde al telefono,» sospirò Lena.
«Prendi questi, ma voglio le ricevute,» disse Sergej, lanciandole qualche banconota. «Compra anche qualcosa di forte: in cantina ho un paio di casse.»
«Possiamo risparmiare?» tentò ancora.
«Comando io! Mia madre ha detto così, e così si fa!»
Una briciola di rivalsa: almeno una parte di ciò che il fratello le aveva sottratto era tornata in mano sua. «Altro che maialino ripieno…» pensò Lena. «Il maialino sei tu.»
«Portami una birra. Voglio rilassarmi,» ordinò lui.
«Subito,» rispose lei, docile in apparenza.
Aveva già preparato un sonnifero. Mašenka aveva un po’ di raffreddore e Sergej temeva il contagio: terreno perfetto per farlo cadere addormentato.
Mentre lui russava, squillò il telefono.
«Sono Lëcha. Dì a Sergej che arriviamo con due ore di ritardo. Saremo in dieci,» comunicò un socio.
«Lo sveglio?» chiese Lena.
«No, lascialo dormire. Così dopo la bevuta non capirà nulla,» rise l’uomo.
Come per destino, la suocera era in sanatorio e irraggiungibile. Lena spense il telefono, infilò i soldi in borsa e chiamò un taxi. In paese l’aspettava un’amica: lì avrebbe trovato riparo. Il dopo si sarebbe visto; prima doveva rimettersi in piedi.
Poteva portare solo una valigia, per non insospettire i vicini che avrebbero avvisato la suocera. Poco male: gran parte di quegli abiti le erano inutili.
«È ora. Sveglia, Mašenka,» disse piano.
«Papà viene con noi?» domandò la bimba, assonnata.
«No. E nessuno deve saperlo. Se chiedono, diciamo che siamo andate a comprare la spesa per gli ospiti, d’accordo?» le strizzò l’occhio.
«Sì, mamma! Ti proteggerò,» disse stringendola forte.
«Con te accanto non ho paura,» sorrise Lena.
Il viaggio in treno fu insolitamente quieto. Finalmente qualche minuto per pensare. Mašenka si addormentò sulle sue ginocchia. In borsa, Lena aveva messo al sicuro un maglioncino giallo a cui teneva molto.
All’improvviso, una mano gentile le toccò la spalla. Lena sobbalzò. Davanti a lei c’era una donna anziana, il volto illuminato da un sorriso.
«Len’ka, sei tu? Perché viaggi con la piccola? Dov’è tuo marito?»
Solo allora riconobbe zia Rita, vecchia amica di sua madre.
«È una storia lunga…» e le raccontò tutto.
«Restare senza un tetto con una bambina è una prova dura,» sospirò zia Rita. «Ma guardiamo il lato buono: ti ho incontrata io, e ho due appartamenti. Ti ricordi quante ne ho passate con gli uomini?»
Lena annuì, commossa. Rita aveva sempre sognato una famiglia e, a modo suo, se l’era costruita.
«Se non fosse stato per Sergej, non avrei neppure Mašenka,» mormorò Lena, con un sorriso bagnato di lacrime.
«Da oggi sarò io la tua famiglia. Starete da me: una casa grande, vestiti nuovi e dolci a volontà,» promise la donna.
La bimba si svegliò strofinandosi gli occhi.
«Siamo arrivate?» chiese.
«Tra dieci minuti, tesoro,» la accarezzò zia Rita.
«E tu sei la mia nonna?» domandò Mašenka.
«Sì,» rise la donna. «E ti prenderò un orsetto senza toppe e un vestito da principessa.»
Lena stentava a crederci: dopo tanto buio, intravedeva un varco di luce.
«Tuo fratello mi aveva detto che eri la moglie di un grande agricoltore e non volevi più vedere gli amici di un tempo,» confidò zia Rita.
«Forse il destino ci ha rimesse sulla stessa strada,» rispose Lena. «E io non voglio sprecare questa occasione.»
A volte i giorni più neri sono l’anticamera di qualcosa di bello. Bisogna soltanto continuare a credere che esistano mani pronte ad afferrarci quando stiamo per cadere.