«Se i tuoi parenti continuano a ripulire il mio frigo, ti mando a vivere con loro!», sbottò la moglie.

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Marina fissava incredula il ripiano vuoto del frigorifero. Proprio lì, il giorno prima, aveva riposto con cura l’arrosto di manzo che aveva cotto lentamente per ore, pensando alla cena con i Vernikov. Le salì addosso una stanchezza densa, più vicina alla frustrazione che alla rabbia: una somma di piccoli sgarbi che da settimane le scavavano dentro.

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«Andrea?» chiamò, cercando di tenere a bada il tremito nella voce.

Dalla stanza accanto arrivò il passo tranquillo di suo marito. Quella calma che un tempo le era sembrata equilibrio, ora le suonava come un rifugio per evitare ogni presa di posizione.

«Eccomi, amore» disse, comparendo sulla soglia della cucina. Il sorriso gli si spense in volto appena incrociò gli occhi tesi di lei.

«Per caso sai dove sia finito l’arrosto che ho preparato per stasera?»

Andrea guardò dentro il frigo come se la risposta potesse materializzarsi all’improvviso tra gli scaffali. «Mah… forse l’hai spostato senza pensarci?»

Marina inspirò a fondo e contò mentalmente. Era la quinta sparizione in una settimana. Ogni volta la stessa scena, ogni volta la stessa finta sorpresa.

«Sono tua sorella e la sua famiglia» disse, con calma ferma. «Di nuovo. Ieri la lasagna, l’altro ieri il tiramisù… e non scordiamo la trota che avevo ordinato apposta.»

Andrea assunse quella smorfia sospesa tra il senso di colpa e la difesa che lei ormai riconosceva al volo. «Sai come sono le cose… Stanno facendo lavori in casa, cucinare è un’impresa.»

«Ospiti?» Marina abbozzò un mezzo sorriso amaro. «Andrea, sono tre settimane che vivono qui. Gratis. Mangiano le nostre provviste e usano tutto senza chiedere.»

In quel momento comparve in cucina Vera, la sorella di Andrea, con il suo passo pacato; dietro, Alice, la figlia maggiore, incollata al telefono.

«Che succede?» chiese Vera dirigendosi al frigorifero.

«L’arrosto è sparito» rispose secca Marina.

«Ah, quello? L’abbiamo finito stanotte» disse Vera con disinvoltura, stappando la caraffa del succo d’arancia che Marina aveva appena spremuto. «I ragazzi avevano fame. Comunque, complimenti: era ottimo.»

Qualcosa si incrinò definitivamente in Marina. Tre settimane di pazienza non avevano prodotto nient’altro che nuovi sconfinamenti.

«Vera, quell’arrosto era per una cena importante. Ci ho perso mezza giornata.»

Vera fece spallucce, bevve un sorso e si voltò verso Andrea: «Ordineremo qualcosa, no? Tanto voi potete permettervelo. A proposito, hai visto il mio maglione grigio di cashmere?»

«Mi pare fosse in camera da letto» azzardò lui.

«Nella nostra camera?» chiese Marina, sentendo la temperatura del sangue salire.

«Sì,» continuò Vera, «volevo abbinarlo ai tuoi orecchini di zaffiro. Ti dispiace se li metto stasera? Io e Igor andiamo a teatro.»

Erano il regalo del primo anniversario. Marina li conservava per le occasioni speciali. «Sì, mi dispiace. Non puoi.»

Vera alzò un sopracciglio. «È solo un paio di orecchini, non una reliquia.»

Marina guardò Andrea in cerca di una spalla. Lui abbassò lo sguardo.

«Sono cose personali» disse lei, misurando le parole. «Si chiede il permesso.»

«Siamo parenti. In famiglia si condivide» sbottò Vera.

Entrò allora Igor, con l’accappatoio di Andrea addosso e un’aria insonnolita. «Buongiorno. Il caffè è finito» brontolò, armeggiando con la macchina. «L’ho messo in lista. Serve anche del brandy, ho terminato la bottiglia del bar.»

Fu la goccia. Il gelo che Marina provava in ufficio quando, da direttore finanziario, doveva prendere decisioni scomode le si distese addosso, lucido. «Andrea, due parole. Adesso.»

Si chiusero nello studio, l’unico spazio ancora non colonizzato.

«Questa storia finisce oggi» disse lei senza alzare la voce.

Andrea si passò una mano sul naso, il suo gesto da momenti difficili. «Capisco… ma è pur sempre la mia famiglia. I lavori sono un inferno…»

«Aiutare è una cosa, farsi mettere i piedi in testa un’altra» lo interruppe. «Prendono senza chiedere, non partecipano alle spese, non alzano un dito. Tua sorella vuole i miei orecchini, tuo cognato gira in accappatoio e svuota la dispensa. E nessuno chiede scusa.»

Andrea tacque. In quel silenzio, Marina avvertì che qualcosa si stava smuovendo. «Quanto devono durare ancora i lavori?»

«Dicevano due mesi.»

«Due mesi?» Le sfuggì un mezzo scatto. «Non resisto altre cinque settimane così. Non è uno scherzo.»

Guardò il giardino lucido di fine estate, ricordando le serate immaginate insieme. «Ti amo, Andrea. E rispetto i tuoi. Ma i confini esistono, e tu devi farli rispettare. O troviamo un’altra sistemazione per loro.»

«Parlerò con loro» promise lui, più convinto di quanto si sentisse.

«Parole e basta non bastano» ribatté Marina. «Servono regole chiare. O si adeguano, o si spostano.»

Quella sera, al rientro, la situazione era perfino peggiorata. In salotto, Vera aveva organizzato un pigiama party per le amiche di Alice: pizza, bibite sul tappeto buono, musica alta. Il bagno era un campo di biancheria sporca, il lavandino un mosaico di piatti incrostati. Sul comodino, il rossetto preferito di Marina, spezzato.

Nello studio, poi, l’affondo: Vera stava usando il portatile di Marina. «Devo inviare dei file al designer, il mio è scarico. Non ti spiace, vero?» Nel display, la mail aperta e cartelle di lavoro sensibili.

«Mi spiace eccome» disse Marina, chiudendo il laptop e portandolo via. Salì in camera, prese il telefono e compose il numero di Andrea.

«O sistemi la cosa entro stasera, o domattina prendo una stanza in hotel. Non sto esagerando.»

«Che è successo?»

«Festa in salotto, disastro ovunque, rossetto rotto, e tua sorella smanetta nel mio computer. Non è ospitalità: è mancanza di rispetto.»

«Arrivo» disse lui. «Trenta minuti.»

Quando la porta d’ingresso si aprì, Marina sentì nell’aria un’energia diversa. Andrea entrò con lo sguardo deciso. «Dov’è Vera?»

«In salotto.»

In soggiorno, Andrea spense la TV con un clic. «Vera, dobbiamo parlare.»

«Ehi! Stavo guardando» protestò lei.

«Ragazze, in camera per favore» disse alle nipoti, con un tono che non ammetteva repliche. Queste si alzarono, stupite, e sparirono.

«Tre settimane qui» cominciò Andrea, «e zero rispetto per la casa e per noi. Non va bene.»

«Ma che dici? Due panini e qualche vestito preso in prestito e diventa un dramma?» fece Vera, lanciando una frecciatina a Marina. «Ti ha messo contro di noi.»

«Non è questione di panini, né di orecchini» rispose Andrea. «È questione di confini. Siete ospiti, non clienti di un albergo. State approfittando.»

Vera posò il calice sulla tavola con un colpo secco. «Quindi siamo indesiderati? Perfetto. Ce ne andiamo subito. Non vi daremo più fastidio, né noi né il nostro appetito.»

«Non è un ripudio» replicò Andrea. «È chiedere rispetto. Se qui restate, rispettate le regole. Altrimenti è meglio che troviate un’altra sistemazione finché durano i lavori.»

«Ragazze, valigie!» tagliò corto Vera, passando a raccogliere le sue cose. Igor la seguì borbottando una specie di scusa.

Fu un via vai di zip tirate e porte sbattute. Prima di uscire, Vera lanciò: «Spero siate felici. Andremo da mamma. Poco spazio, ma almeno nessuno ci fa la morale.»

Andrea la guardò con tristezza. «Sarò sempre tuo fratello, e ci sarò quando servirà davvero. Ma aiutare non significa annullarsi.»

Quando il portone si chiuse, calò un silenzio nuovo, quasi leggero. Andrea si voltò verso Marina. «Perdonami. Dovevo intervenire prima.»

Lei lo abbracciò. «Hai fatto la cosa giusta. Anche se in ritardo.»

Rimasero così un momento, lasciando che la casa ritrovasse il suo respiro. «Ti ricordi la tua minaccia?» sorrise Andrea. «“Se la tua famiglia continua a svuotare il mio frigo, ti spedisco a vivere da loro.” L’avresti fatto davvero?»

Marina rise piano. «No. Avrei comprato un secondo frigorifero… con un lucchetto.»

Si scambiarono uno sguardo complice, il primo sereno dopo settimane. «Che dici, ordiniamo qualcosa?» propose Andrea. «E domani cucino io l’arrosto. Non sarà come il tuo, però…»

«Sarà migliore» lo interruppe lei. «Perché lo farai tu. E lo mangeremo qui, a casa nostra. Finalmente casa, non dormitorio comune.»

Andrea la baciò. Marina capì che a volte i conflitti, per quanto dolorosi, servono a rinsaldare i legami e a tracciare linee chiare. Tenere aperto il cuore è importante. Saper difendere i confini lo è altrettanto.

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