Non era una gallina qualunque. Era la sua gallina.
Ogni mattina, prima di andare a scuola, correva fuori a piedi nudi, anche con il gelo, solo per cercarla. Le parlava come a un amico, confidandole i suoi problemi con la grammatica o descrivendole le forme che vedeva nelle nuvole. Lei lo seguiva ovunque, fedele come un cagnolino, e lo attendeva paziente sul portico fino al suo ritorno.
All’inizio ci sembrava un gioco tenero. Poi ci siamo resi conto che era qualcosa di molto più profondo.
Da quando sua madre se n’era andata l’anno precedente, lui non era più lo stesso: il silenzio aveva preso il posto delle parole, il sorriso si era spento e persino i pancake, un tempo i suoi preferiti, restavano intatti nel piatto. Poi, un giorno, un pulcino giallo era comparso nel giardino. Lo aveva chiamato Nugget.
E da allora tutto era cambiato.
Con Nugget era tornata la gioia. Aveva ricominciato a mangiare, a ridere, a dormire sereno. Quel batuffolo piumato aveva riacceso in lui la vita.
Ma ieri Nugget era sparita.
L’abbiamo cercata ovunque: nel pollaio, in strada, sotto gli alberi. Nessuna traccia. Quella notte si è addormentato stringendo tra le mani una sua foto, in lacrime.
E stamattina, eccola lì.
Nel vialetto, sporca e con un graffio sul becco, ma viva.
Lui l’ha raccolta con infinita delicatezza, stringendola forte, gli occhi chiusi come per paura che svanisse di nuovo. Non voleva lasciarla neppure per fare colazione o per andare a scuola.
È stato allora che ho notato qualcosa: un piccolo nastro rosso legato alla zampetta di Nugget, con un’etichetta sbiadita.
C’era scritto: «Ritrovata. Ha scelto di tornare.»
Non ho detto nulla. Ho solo osservato mio figlio stringere Nugget come se fosse il suo più grande tesoro.
Quel giorno l’abbiamo tenuto a casa. Non riusciva a separarsi da lei. Le leggeva perfino il suo libro preferito, una storia illustrata su un topolino coraggioso.
Nel pomeriggio, un vecchio pickup arrugginito si è fermato davanti a casa. Ne è scesa una donna anziana dal volto gentile.
«Buonasera,» ha detto sorridendo. «Credo che quella sia la mia gallina.»
Il cuore mi è balzato in gola. «La sua?»
«Sì,» ha annuito. «Nugget è un’anima avventurosa. Scappa spesso.»
Solo allora ho capito: non era stata lei a “scegliere di tornare”. La signora l’aveva trovata e rimessa in libertà con quel biglietto, sperando che raggiungesse chi la amava davvero.
Si è inginocchiata davanti a mio figlio. «Ciao, Finn. Nugget mi ha parlato di te. Dice che sei molto coraggioso.»
Finn l’ha guardata con occhi spalancati. «Parla davvero?»
La donna ha sorriso. «A modo suo, sì. Mi ha detto che le sei mancato tanto.»
Finn le è saltato al collo, commosso.
Quella sera la signora è rimasta a cena con noi. Ci ha raccontato delle sue galline, di quanto sappiano comprendere più di quanto crediamo. Prima di andare via, ha donato a Finn un libricino consunto: la storia di un uccellino che ritrova sempre la strada di casa.
La mattina seguente, Finn era pronto per la scuola. Ha salutato Nugget nel pollaio, stringendo forte quel libro e sorridendo come non lo vedevo da tempo.
E io ho capito una cosa: a volte basta poco per restituire speranza. Una gallina che torna, un nastro rosso, un gesto gentile.
Non sottovalutate mai la forza di un piccolo atto di bontà. Può illuminare persino i giorni più bui.