Mentre camminavo per strada, ho sentito una giovane donna cantare una melodia che mia figlia amava prima di sparire 17 anni fa. Quel suono familiare mi ha fermato di colpo. Era una canzone che avevo composto solo per lei, una dolce ninna nanna che parlava di campi fioriti e luce, destinata a far volare i suoi sogni. Nessun altro avrebbe potuto conoscerla. Eppure, lì, proprio davanti a me, quella melodia cristallina risuonava nelle parole di quella giovane donna, con gli occhi chiusi e un sorriso sereno sul volto.
Quella musica mi ha riportato indietro nel tempo, a quando la mia bambina riempiva la casa di gioia e calore. Il vuoto lasciato dalla sua scomparsa era sempre stato enorme, ma ora quel suono riaccendeva una speranza che credevo persa.
Il mio corpo si mosse quasi da solo, mentre mi avvicinavo a quella ragazza che mi sembrava stranamente familiare. I suoi capelli scuri, le dolci onde che incorniciavano il viso, e quel sorriso… tutto mi ricordava le immagini e i ricordi di mia figlia. Anche la fossetta sulla guancia sinistra, proprio come quella di mia moglie.
Non riuscivo a credere a quello che stavo vedendo, ma qualcosa dentro di me mi diceva che dovevo scoprirlo.
Quando finì di cantare e aprì gli occhi, mi sorprese con il suo sguardo, poi abbassò lo sguardo mentre la folla intorno applaudiva.
«Grazie a tutti per avermi ascoltata! Buona giornata!» disse con un sorriso.
I suoi occhi incrociarono i miei, e in quell’istante il suo sorriso si affievolì.
«Sembra che la mia esibizione non sia stata di tuo gradimento», disse avvicinandosi. «Sono stata così pessima?»
«No, no», risposi con un sorriso nervoso. «Questa canzone… è molto speciale per me.»
«Davvero? Anche per me lo è», disse, con uno sguardo curioso. «È uno dei pochi ricordi che ho della mia infanzia. La canto da sempre. È tutto ciò che mi resta.»
Un brivido mi attraversò.
«Cosa vuoi dire?» chiesi, cercando di mantenere la calma.
«È una lunga storia», rispose guardando l’orologio. «Forse un’altra volta.»
«Per favore», insistetti, con il cuore che batteva forte. «Ti offro un caffè, possiamo parlare, se ti va.»
Dopo un attimo di esitazione, annuì.
«Va bene… perché no?»
Ci sedemmo in un bar poco lontano. Più la guardavo, più mi sembrava di riconoscerla: gli occhi, il sorriso, la voce… tutto mi riportava a casa.
Era come se un pezzo mancante della mia vita fosse tornato improvvisamente.
«Hai una voce meravigliosa», le dissi cercando di non mostrare l’emozione.
«Grazie», rispose sorridendo. «Sono qui per lavoro, e quando la band ha chiesto chi volesse cantare, non ho resistito.»
«Quella canzone… dove l’hai imparata?» chiesi con un nodo alla gola.
Lei sospirò, guardando la sua tazza.
«Non l’ho mai imparata davvero. È tutto ciò che ricordo della mia infanzia. I miei genitori adottivi dicevano che era il mio inno personale.»
«Genitori adottivi?» chiesi sorpresa.
«Sì, mi hanno adottata da piccola», disse con un sorriso triste. «Ma ho sempre sentito che qualcosa mi mancava, come se non conoscessi tutta la mia storia.»
Il mio cuore saltò un battito.
«Credo che il mio nome fosse Lily», sussurrò. «Ma non ne sono certa. Mi chiamano Suzy, e così mi sono abituata a essere.»
Rimasi senza parole.
«Mia figlia…», dissi con la voce rotta. «Si chiamava Lily. È scomparsa 17 anni fa. Non l’abbiamo mai ritrovata.»
I suoi occhi si spalancarono. Poi, a bassa voce, chiese:
«Sua moglie si chiamava Cynthia?»
«Sì», risposi, la gola secca. «E io sono John.»
Un silenzio incredulo calò tra noi, poi le lacrime iniziarono a scorrere.
Ci abbracciammo, lasciando che quegli anni di dolore, speranza e attesa ci travolgessero in quell’istante.
Quel giorno cambiò per sempre la mia vita.
La bambina che avevamo pianto per tanto tempo era tornata, come un miracolo.